Non è semplice, di questi tempi, girare un documentario sportivo evitando di scivolare nella retorica o nello storytelling a tutti i costi. Il produttore Domenico Procacci, al debutto alla regia, ci riesce, trovando lo stile giusto per raccontare la pagina più gloriosa del tennis italiano. La squadra protagonista della serie è quella formata da Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, vincitrice della prima (e finora unica) Coppa Davis per l’Italia nel 1976, e capace di raggiungere altre tre finali nei successivi quattro anni.
Procedendo per capitoli ma senza seguire un ordine cronologico, le sei puntate ripercorrono quell’impresa sportiva ed anche le carriere e le vite dei quattro tennisti e del loro capitano Nicola Pietrangeli. Le loro storie si intrecciano alla Storia nell’Italia degli anni 70, dove la partecipazione alla finale di Davis in casa del Cile del dittatore Pinochet diventa un caso politico e viene osteggiata da gran parte dell’opinione pubblica («Non si giocano volée con il boia Pinochet», cantava Domenico Modugno). Eppure, è grazie a quella squadra, accolta tiepidamente al ritorno dopo la vittoria, che il tennis in Italia, da sport elitario, diventa popolare.
Ed è grazie ai suoi personaggi che Una squadra funziona, alla loro dimensione cinematografica e ai loro caratteri opposti. Da un lato Panatta e Bertolucci, gaudenti e spigliati, compagni di doppio e amici fraterni nella vita, nonostante le frequenti litigate; dall’altro, Barazzutti e Zugarelli, più austeri e poco inclini alle feste, per i quali il tennis è innanzitutto un mezzo di riscatto sociale (in particolare per il secondo, cresciuto nella povertà di una borgata romana). Tale diversità si rifletteva anche nel modo di giocare. Panatta, non solo il più forte dei quattro ma anche il più bello e famoso e amato dalle donne, aveva un gioco spettacolare, un repertorio completo fatto di serve & volley, smorzate, rovescio a una mano, volée a rete. Il tennis di Barazzutti era invece resistenza, fatica, scambi estenuanti da fondo campo.
Procacci asseconda con intelligenza la conflittualità e le divergenze tra i personaggi, lasciando emergere il punto di vista di ognuno. Affida il racconto ai suoi protagonisti intervistandoli singolarmente ma facendoli dialogare attraverso un montaggio che alterna le loro battute come in uno scambio di colpi tennistico.
L’unico punto su cui i quattro compagni di squadra concordano è l’insofferenza nei confronti dell’ego ingombrante dell’allenatore Pietrangeli, che da giocatore era stato il numero uno del tennis italiano. È quindi anche uno scontro generazionale, iniziato qualche anno prima sul campo con la sconfitta di Petrangeli a fine carriera per mano di un giovanissimo Panatta, nel più classico dei passaggi di consegne. La resa dei conti tra Pietrangeli e la sua squadra avviene dopo la finale di Davis persa contro l’Australia nel ’77. «Non sentiamo più per te quello che sentivamo prima», è il messaggio pronunciato dal portavoce del gruppo Bertolucci, nel tentativo di non ferire troppo il proprio capitano appena destituito. Cambio scena, Petrangeli ricorda la sua risposta data di getto: «Annate a fan**** tutti».
Come suggerito dallo stesso Procacci, i protagonisti di Una squadra sembrano tratti dalla nostra commedia all’italiana: Panatta, gigione e irresistibile, è Vittorio Gassman; Bertolucci, elegante e tagliente, è Ugo Tognazzi, con la passione comune per la buona cucina; Zugarelli, umile e fumantino, è Nino Manfredi. Se la spacconeria seducente di Panatta rimanda a Gassman ne Il sorpasso, quella un po’ arrogante di Petrangeli richiama invece la maschera di Alberto Sordi ne Il marchese del Grillo, come quando rivendica la propria supremazia: «Ho vinto di più io da solo che loro quattro messi assieme».
Certi spassosi aneddoti potrebbero davvero essere sequenze di un film. Ad esempio, la rissa scoppiata durante un match di Davis a Barcellona, dove Panatta reagisce agli insulti del pubblico spagnolo venendo alle mani con i tifosi sugli spalti (e per sbaglio ne mena uno italiano). Oppure le sfide e l’amicizia tra Panatta e il fenomeno Björn Borg. I due passano insieme la sera prima di una partita di esibizione, sulla quale scommettono tra loro molti soldi. Borg si ubriaca e Panatta lo riporta in hotel convinto di vincere il giorno dopo, date le condizioni dell’avversario. E invece… perde.
Non manca in Una squadra il tennis giocato, apprezzabile nei filmati d’archivio, assieme a una riflessione sulla sua evoluzione fino ai giorni nostri. Rispetto a quelle di legno di allora, le racchette di oggi (le “padelle supersoniche”, come le chiamava lo ‘scriba’ del tennis Gianni Clerici) offrono molte più soluzioni di gioco, ma la maggior parte dei tennisti ne usa sempre meno. Il talento ha bisogno di tempo ma la pallina viaggia sempre più veloce, e vince chi bombarda di più da fondo campo. Una riflessione che può diventare metafora ed estendersi ad altri ambiti.
Al netto di un’inevitabile componente nostalgica, lo sguardo dei protagonisti di Una squadra non è comunque passatista. Il tennis, del resto, sta vivendo da anni un’epoca d’oro con Federer, Nadal, Djokovic. E stanno sbocciando finalmente nuovi campioni pure in Italia: magari vinceranno anche loro la Coppa Davis, e tanto altro. Difficilmente, però, ci sarà un altro Panatta, uno capace di battere l’antipatico quanto formidabile Ivan Lendl, concedendosi un punto beffardo con la palla corta dal servizio. «Una cosa che non si fa… Tra professionisti non si fa. Però lui non mi era simpaticissimo…».
Quell’irriverenza sapeva prestarsi anche a nobili cause. Nella partita di doppio decisiva per la vittoria della Davis contro il Cile, Panatta e Bertolucci indossarono una maglietta rossa al posto di quella azzurra, in segno di protesta contro il regime di Pinochet. Peccato che dalle immagini in bianco e nero della tv non se ne accorse nessuno. Quando eravamo re. All’italiana.
La storia della nazionale italiana di tennis che vinse la Coppa Davis nel '76 e raggiunse altre tre finali nei quattro anni seguenti. La squadra era formata da Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, e fino al '77 aveva come capitano non giocatore Nicola Pietrangeli, campionissimo del tennis italiano ritiratosi dall’attività agonistica pochi anni prima. Un gruppo eterogeneo, composto da personalità fortissime, con rapporti a volte molto difficili.