Rithy Panh

Creare l'immagine che non c'è

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Fin dal titolo, il film di Rithy Panh cerca di colmare un vuoto nominandolo, appellandosi ad esso. 

L'immagine mancante è infatti quella chiamata a testimoniare il massacro perpetrato dalla dittatura maoista di Pol Pot ai danni del popolo cambogiano. Quell'immagine, l'immagine dell'orrore, però, non è mai stata trovata dal regista, semplicemente perché non c'è; esiste solo il suo doppio mistificato: sequenze propagandistiche in bianco e nero che mostrano il lavoro di un intero popolo, ordinato e solerte, a disegnare lunghe file nere come di operose formichine, mentre strappa alla foresta spazi in cui coltivare cereali. 

Devono essere allora le mani dell'uomo e la voce in prima persona di chi è stato bambino all'epoca di quell'incubo, fra il 1975 e il 1979, a ricreare ciò che è svanito nel nulla e al contempo è sopravvissuto nella carne di poche persone, fra cui il regista. Le sue mani impastano quindi sabbia e acqua (due elementi ricorrenti nel film) per realizzare figurine di uomini, donne e bambini che infine in quello stesso fango e in quell'acqua sono stati trasformati da fatica, fame e stenti. 

Il delirio della Kampuchea democratica, realizzato con la tortura e con la fame, trasforma quindi in tragici pupazzetti di argilla, dagli abiti neri e i volti sempre più scavati, le persone che fino a poco tempo prima avevano indossato vesti colorate, si erano nutrite di libri, musica, cinema e avevano vissuto nella convivialità. Un mondo intero spazzato via da un'onda che schiaffeggia a più riprese anche lo spettatore. Sprazzi della vita "a colori" di un tempo riemergono solo dalle pellicole semidistrutte con cui si apre il film e che, come nei découpage realizzati dalle mani di bambini, riportano in vita per brevi istanti sospesi la danza di un'aggraziata fanciulla in abiti tradizionali.

L'orrore prende invece letteralmente forma in scene ricostruite in cartapesta nella dura foresta che i Khmer Rossi fanno domare ai cambogiani divisi in squadroni, nelle camerate in cui si soffre e ci si spegne su spoglie travi di legno, nei pasti ridotti a razioni sempre più misere di riso da centellinare con il proprio cucchiaio, unico bene di proprietà concesso.

Eppure, più "si muore" in queste sequenze statiche, solo percorse dalla macchina da presa, più si sente potente il dolore della vita, perché è sul piano sonoro che viene ricreata l'esistenza che langue: i suoni della foresta, le urla dei volatili, i colpi di piccone, la tensione, pure, del silenzio.

Il film sembra quindi costruirsi tutto intorno al proprio paradosso: creare la vita là dove si sta morendo, e crearla non attraverso la presenza di attori, bensì con pupazzetti inanimati, che sono in realtà il correlativo di vite ridotte a nulla; creare in definitiva un'immagine che non c'è, in linea con quello che è sempre stato l'intento di Panh, riflettere, nella "sua" storia, sull'uso dell'immagine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'immagine mancante
Francia, Cambogia, 2013, 90'
Titolo originale:
L'image manquante
Regia:
Rithy Panh
Sceneggiatura:
Christophe Bataille, Rithy Panh
Fotografia:
Prum Mesa
Montaggio:
Rithy Panh, Marie-Christine Rougerie
Musica:
Marc Marder
Cast:
Randal Douc
Distribuzione:
Movies Inspired

Ci sono così tante immagini nel mondo, che crediamo di aver visto tutto. Pensato tutto. Da anni, cerco un'immagine mancante. Una fotografia scattata tra il 1975 e il 1979 dai Khmer Rossi, quando governavano la Cambogia. Da sola, ovviamente, una foto non prova i crimini di massa, ma porta a pensare, a meditare. A costruire la Storia. L'ho cercata invano negli archivi, nei giornali, nelle campagne del mio paese. Ora lo so: questa immagine manca; e non la cercavo - non sarebbe oscena e senza senso? Allora la creo io.

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