L’uomo moltiplicato e il regno della macchina: il titolo di un famoso saggio del futurista Filippo Tommaso Marinetti potrebbe, mutatis mutandis, sottotitolare il nuovo film di Morten Tyldum. Oltre l’imperiosa e meditata ricostruzione della storia – la bella storia – di Alan Turing, il matematico britannico che riuscì attraverso l’invenzione di una potente macchina a decrittare l’indecifrabile dispositivo Enigma, in The Imitation Game sembra infatti esserci dell’altro. Ma andiamo con ordine.
Planando sulla dimenticata vita di uno dei più grandi innovatori del secolo scorso, il regista norvegese ruba gli occhi pungenti e obliqui di Benedict Cumberbatch per guardare al disastro della seconda guerra mondiale dal punto di vista dei congegni, dei codici e dei calcoli che ne virarono il timone e ne infamarono le sorti.
La biografia di Turing, centellinata e tripartita sugli assi temporali fondanti dell’infanzia, del momento centrale della guerra e dell’arresto del’41 per “atti osceni” (dietro la cui fittizia etichetta si maschera la condanna per omosessualità), attraversa lo schermo ricomponendosi attraverso flashback, immagini di repertorio, cambi di luce ed espressioni, rebus di date e pezzetti di storia.
La ricomposizione della cronologia è affidata a chi guarda, e a chi guarda è richiesto un impegno nel risolvere e decifrare in anticipo un cruciverba narrativo che buca le definizioni per poi risolverle con i dialoghi, densi e drammatici, su cui si fonda l’apparato diegetico. Pur non sorprendendo per originalità, la ricorsività strutturale dei flashback e l’anomala e delicata sfumatura thriller impreziosiscono il già ricco materiale filmico di The Imitation Game.
Il pregio essenziale però risiede, secondo il modesto parere di chi scrive, nella partita di scacchi che il film intavola con lo spettatore, chiedendogli la mossa, provocandogli un giudizio. Il personaggio di Turing, archetipico genio burbero e poco sveglio, appassionato di numeri e non di emozioni, piccolo e maledetto fiore del male in un campo minato da svastiche e sottomarini, non è portato in trionfo dai toni patetici del panegirico e imbalsamato nel monumento di una lode incondizionata: si combatte contro la sua immagine difficile, di prodigio del mondo suo malgrado.
Quello che spinge Turing a lavorare per il governo non è un eroico istinto di altruismo, ma la possibilità di costruire la sua potente macchina computer, estensione prostetica di un sé pavido, solo e insoddisfatto dell’umano. A chi lo interroga sullo schermo e a chi lo guarda dalla platea, il Turing di Cumberbatch, dopo aver narrato la sua storia – la sua bella storia – espone le regole del gioco dell’imitazione, ideato per stabilire se una macchina possa pensare. Chiede di essere giudicato, analizzato, decrittato come il più indecifrabile Enigma: allora, oggi più che mai, scegliamo l’uomo o la macchina?
Durante l'inverno del 1952, le autorità britanniche entrarono nella casa del matematico, criptoanalista ed eroe di guerra Alan Turing per indagare su una segnalazione di furto con scasso. Finirono invece per arrestare lo stesso Turing con l'accusa di "atti osceni", incriminazione che lo avrebbe portato alla devastante condanna per il reato di omosessualità. Le autorità non sapevano che stavano arrestando il pioniere della moderna informatica