Ci sono storie di fantascienza distopica eternamente adattabili alla contemporaneità. Accade per esempio con 1984 di Orwell, con I Am Legend di Matheson, con diversi romanzi di Philip Dick e naturalmente con Fahrenheit 451 di Bradbury: scritti in decenni minacciati da totalitarismi, guerre mondiali calde o fredde, consumismo e consumismo, questi libri sapevano raccontare il loro presente immaginando il nostro (e quello futuro), pauroso, svuotato o superaffollato, rigonfio di condizionamenti o di illusioni barbare.
Quando nel 1966 François Truffaut adattò il romanzo del 1953 di Bradbury, ne fece una storia tristissima di amori raggelati, culture eterodirette, identità annullate; i libri, "l'essere libro" salvavano la vita, il cuore, l'umanità del pompiere Montag e degli altri ribelli, in mezzo ai boschi che li accoglievano, in contrapposizione all'asettica linearità degli ambienti, gli abiti, gli arredamenti della città: ai gelidi agi dell'era robotica si contrapponeva una civiltà preindustriale coltissima.
Anche Ramin Bahrani cerca una chiave contemporanea per il suo nuovo adattamento e la trova (con fin troppa facilità) nella scomparsa non solo dei libri e dei giornali ma, in generale, di tutte le arti (cinema compreso), della cultura e della storia, giunta quando il pubblico ha cominciato a leggere solo i titoli generati da un algoritmo. Quando la gente si è stancata di sentirsi disturbata, di essere messa in crisi dalle opinioni diverse (politiche, filosofiche, religiose) che si accavallano. Perché dover scegliere e perciò pensare? E, dopo una Seconda gerra civile americana (del quale il film non ci dice praticamente nulla), il nuovo regime ha abolito tutta la cultura, bruciandola.
I nomi, le immagini, i titoli, i volti e i quadri celebri si accavallano velocemente consumati dal fuoco, mentre la popolazione osserva gli incendi dai maxischermi disseminati ovunque, in una città che è discendente diretta di quella di Blade Runner (uno e due), in una rappresentazione che vorrebbe essere futuribile, ma invece è già vecchia.
Il cinema (e la buona letteratura di SF) ha già visto, superato e talvolta distrutto tutto questo. Non c'è passione nel nuovo Fahrenheit, non c'è invenzione visiva, non ci sono abbastanza dubbi e tristezze, follia e, paradossalmente, cultura. È un po' il Fahrenheit 451 dell'era di Wikipedia. E persino l'azione lascia a desiderare. Solo la matura signora che si dà fuoco con un fiammifero in mezzo alla sua gotica e maestosa biblioteca risveglia l'orrore e il dolore esterrefatto del romanzo di Bradbury e del film di Truffaut, mentre tutto il resto scorre tra i dialoghi un po' pomposi tra Michael B. Jordan (Montag) e Michael Shannon (il suo capo, Beatty), una sbrigativa storia d'amore e il rincorrersi di pompieri, ribelli e spioni.
Confuso, edulcorato e per nulla inquietante.