Che Mamoru Hosoda fosse profondamente interessato alle metamorfosi corporali e spaziotemporali lo si intuiva già dai suoi precedenti lavori. Chi ha avuto modo di imbattersi in Wolf Children (2012), The Boy and the Beast (2015) o La ragazza che saltava nel tempo (2006) ricorderà quanto i mondi immaginifici ricreati dal cineasta giapponese siano sovente un semplice pretesto per raccontare l’incontro con il diverso, da intendersi sia come individuo che come contesto sociale.
Hosoda continua a condurre il suo cinema con coerenza focalizzandosi sulla crescita come estremo mutamento esistenziale e sulla memoria come macchina del tempo per muoversi in mondi paralleli. Con Mirai compie il passo più importante e rischioso della sua carriera, il passo del gambero, quello che sposta l’asticella della maturità su vette considerevoli innescando la retromarcia. Non troverete nessun mostro nel film, nessun richiamo al genere fantasy. Solo un pizzico di magia e tanta, tantissima umanità.
La storia è quella di Kun, un bambino di quattro anni che da un giorno all’altro dovrà fare i conti con un nuovo, inaspettato e temutissimo rivale: la sorellina appena nata, di nome Mirai. Sarà lei a sottrarre l’amore dei genitori nei suoi confronti, a catalizzare le attenzioni della famiglia e a provocare una profonda gelosia nell’animo del fratello maggiore. Tutto però potrebbe cambiare quando la magia porterà Kun a relazionarsi direttamente con i suoi avi e i familiari che verranno.
Passato, presente e futuro si fondono nel cammino di formazione che il bambino è costretto a compiere nonostante la sua tenera età. Eppure se il labirinto temporale risulta avvolgente e disorientante è proprio perché Hosoda vuole sottolineare la sua immortale ed eterna funzione. Non si cresce solamente da piccini, si cresce ogni giorno. Così come il bisnonno di Kun, un operaio prestato al mondo dell’aviazione (ogni riferimento al bisnonno artistico di Hosoda, Hayao Miyazaki, probabilmente non è casuale) che corre costantemente a piedi, a cavallo, in motocicletta; oppure la Mirai del futuro (figura molto simbolica, dato che mirai significa proprio futuro) qui nel ruolo di insegnate e contemporaneamente alunna di suo fratello.
Tutte pedine che muovono i propri passi sulla scacchiera di un tempo spietato, pronto ad ammonire chiunque non riesca a stargli al passo o rinunci a voler cedere ai cambiamenti che questi impone (straordinaria, in tal senso, la sequenza all’interno della stazione). Il segreto per vincerlo è proprio quello di fare un passo indietro, guardarsi alle spalle per imparare a precedere il passato invece che insistere nell’inseguire il futuro. Il passo indietro al quale giungerà il piccolo Kun al termine delle magiche peripezie narrate, lo stesso passo indietro compiuto da Hosada nella realizzazione del film: entrambi cresciuti e più consapevoli di quello che sarà il loro domani, la loro mirai.