La guerra è sullo sfondo, come un fuoco d’artificio (i traccianti della contraerea). Lontana, astratta, incomprensibile (un videogioco). Ma è anche tutta intorno, nella paura, i lutti, la desolazione di una terra martoriata. Vlada la attraversa con il suo camion, che la guerra la porta dentro, in un carico misterioso partito dal Kosovo e destinato ad arrivare a Belgrado. Siamo nel 1999, ieri l’altro, nel cuore dell’Europa.
Ma The Load non è un film “sulla guerra”, non racconta i bombardamenti, non torna ad affrontare il tema dei crimini e delle stragi (questo Ognjen Glavonić l’aveva già fatto nel documentario Deph Two). Racconta un uomo, i suoi dubbi, i suoi tormenti, per raccontare tutto un popolo, la necessità di fare i conti con la storia e con la realtà (tragica, sanguinosa). Dà voce alla generazione dei figli, al bisogno di riflettere e di ricordare qualcosa di cui i padri non vogliono parlare. Non è un caso che nel film sia così importante, per contrasto, la memoria della Seconda guerra mondiale (“quella vera”, dice Vlada), coi suoi monumenti e i racconti della resistenza e della lotta contro il nazifascismo. Il conflitto nella ex-Jugoslavia invece è una specie di buco nero. Chiuso a chiave dentro il camion che Vlada porta in giro per il Paese (quel che ne rimane).
La tensione del film sta tutta nel mistero di quel carico. Il suo fascino, invece, sta nella “deriva” narrativa, nel modo in cui si attarda nella descrizione di certi personaggi incontrati lungo la via, che la macchina da presa sembra incrociare quasi per caso. Piccole storie (non finite o mai cominciate), brandelli di dialogo, volti, gesti silenziosi lasciati lì, sospesi, come le vite di tutte quelle persone immerse in una dimensione di calma surreale, di lutto soffocato, di disincanto feroce. Una scelta narrativa che si rispecchia nello stile di Glavonić, nel modo in cui la macchina da presa sembra a volte scivolare via, in panoramiche interminabili che si perdono nella desolazione, senza riuscire a trovare un punto d’ancoraggio, seguendo la linea del paesaggio, o una struttura d’acciaio, o la vertigine di un momento di verità tra padre e figlio. Vlada incontra anche un ragazzo che ha deciso di fuggire dal proprio Paese, uno dei tanti. Cosa dire ai propri figli (come stare con loro, cosa trasmettere e insegnare) per dare un senso a ciò che è accaduto?
The Load è un film che ha il colore della terra brulla e del ferro. Che di fronte all’enormità di quella guerra (e del suo rimosso) sceglie di chiudersi nella cabina di un camion, da cui guardare la realtà. La consapevolezza dell’orrore è l’unica possibilità di riscatto.
Un film difficile, anche perché Glavonić (32enne serbo al suo primo lungometraggio di fiction) si prende tutto il tempo e lo spazio necessari a percepire il vuoto e a precipitarci dentro, a volte quasi compiacendosi del proprio rigore. Ma questa è anche la sua bellezza, l’intelligenza dello sguardo (ci sono immagini che raccontano il dubbio, il dolore, la paura, con grande sensibilità), la capacità di coniugare la tensione, l’atmosfera di pericolo costante, con l’austerità dello stile. Fondamentale la complicità di Leon Lučev, attore e regista croato.