Non è certo il miglior film di Guédiguian di questi ultimi anni Gloria Mundi. Forse è persino uno dei meno riusciti in assoluto. Eppure la poetica, i temi, i personaggi, le situazioni narrative tipiche del cinema più politico e personale del regista marsigliese (due caratteristiche che per lui vanno sempre di pari passo), rendono impossibile derubricare questo lavoro alla categoria di opera minore. E invitano piuttosto a leggerlo come la tappa successiva di un pensiero che si articola ad ogni nuovo film in maniera sempre più complessa.
Dopo La casa sul mare, presentato esattamente due anni fa in competizione qui a Venezia, Guédiguian continua infatti a guardare la modernità con sospetto, mettendo in evidenza la propria incapacità di comprendere sino in fondo i tempi in cui viviamo e la scarsa fiducia nel futuro. Se nel film precedente il pessimismo era mitigato da uno sguardo nostalgico costruttivo e da una speranza che nonostante tutto luccicava anche nel più cupo degli universi, qui sembra non esistere alcuna possibilità di salvezza, alcuna illusione.
La storia è quella di una famiglia che vive nella Marsiglia di oggi. Mathilda dà alla luce Gloria, festeggia con il compagno Nicolas, la sorellastra Aurore, il cognato Bruno, la madre Sylvie e il patrigno Richard a cui è molto affezionata. Poco tempo dopo il vero padre della ragazza, Daniel, appena rilasciato dopo vent’anni di prigione, arriva in città per vedere la nipotina. Ma non è il ritorno dell’uomo a scompigliare i rapporti. Tutti hanno problemi economici e lavori precari o a rischio, tutti tranne Bruno e Aurore, il cui negozio di pegni va a gonfie vele. Basterebbe poco per evitare che la famiglia si disgreghi completamente. Ma nessuno è disposto ad aiutare l’altro, tutti hanno segreti da nascondere e piccoli rancori da serbare. A provare a sistemare le cose sarà Daniel, che nonostante una vita passata dietro le sbarre sembra avere le idee più limpide di tutti.
Se non ci fosse Gloria, di cui Daniel conserva gelosamente la foto, si potrebbe dire che Guédiguian veda tutto nero, nerissimo. Che come in La ville est tranquille (2001) certamente il suo film più pessimista, non scorga alcuna luce e non tenti di trovare alcuna speranza nel mondo di oggi. E si potrebbe pensare, soprattutto, che abbia smesso di credere nelle persone, persino negli ultimi e nei subalterni, quelli che ha sempre raccontato con grande garbo e umanità. Ma Gloria per fortuna c’è, e il nome non è scelto a caso. Echeggia la celebre locuzione latina “sic transit gloria mundi” che compare nell’esergo del film e forse ci dice che anche le cose peggiori, i momenti più cupi e i sentimenti più disprezzabili passano, si sciolgono e vengono presto dimenticati. E poi la nascita di Gloria, mostrata nella sequenza d’apertura, è anche un omaggio, dichiarato, al lavoro di Artavazd Pelešjan, documentarista sperimentale armeno di cui Guédiguian è grande ammiratore. Questa nascita forse significa che è l’arte a poter salvare il mondo, che finché qualcosa di assolutamente ordinario come l’immagine di una bambina che viene al mondo, può essere osservato con stupore attraverso gli occhi del cinema, una piccola fiammella di speranza per il futuro sopravvive.
Del resto se così non fosse resterebbe solo il ritratto di un mondo agonizzante, in rovina, che sopravvive solo per inerzia. Nella Marsiglia di Guédiguian – che è come al solito un’idea di società esportabile su scala globale – anche i sentimenti più elementari di empatia, affetto, o puro spirito di mutuo aiuto si infrangono contro l’odio e l’egoismo. E quello che più fa effetto è che tutto avvenga all’interno del nucleo familiare. Il luogo cioè da cui in La casa sul mare iniziavano i tentativi di ricostruire un mondo destinato a morire molto simile a quello che si racconta qui.
E forse è anche per questo pessimismo quasi incessante e per questo sguardo negativo così inconsueto che Gloria Mundi è venuto un po’ meno bene. Il racconto per bozzetti, l’eccessiva stereotipizzazione delle situazioni e dei rapporti fra i personaggi e poi i personaggi stessi, nei confronti dei quali è evidente la disistima provata dal regista, sono tutti elementi che affievoliscono e rendono incerta tanto la messinscena quanto la narrazione. In fondo per uno come Guédiguian la tenacia, la forza e la fiducia nel proprio pensiero sono tutti elementi che sembrano impedirgli di pensare troppo male. O che almeno gli consentono di non farlo mai troppo bene.