C’è una scena di Dunkirk che credo sia una delle più belle degli ultimi anni. È il volo conclusivo dello Spitfire con il motore in avaria, e poi il suo lieve atterraggio sulla spiaggia. Mi sembra che in questa scena così semplice eppure solenne e decisa nel suo abbandonarsi al cinema, cioè alla visione prima che all’idea, l’abbandonarsi non alla tecnica in sé ma alla liberazione della tecnica dalle sue disposizioni; in questo “spettacolo pubblico” e nondimeno privatissimo, fedele al solo pensiero del cinema non quale messa in scena di una poetica bensì respiro e conforto, una scena di sublime elevazione dell’immagine sopra il contenuto, dell’indipendenza del cuore rispetto alla testa, ovvero del cinema rispetto al suo parlare e parlarsi; in questa scena di un velivolo che fiancheggia il mare e la terra, l’acqua e il cielo, il nulla e le abitazioni, simbolo fiero tanto di un popolo quanto del cinema stesso come dimora sicura nella quale vivere per la Storia e sopravvivere alla realtà della Storia stessa; ecco, in questa scena dove il cinema si riappropria del suo carattere “primo” e risolutivo, usando la musica (geniale) di Hans Zimmer che con Benjamin Wallfisch riadatta il Nimrod delle Variazioni Enigma di Edward Elgar come se fosse il Vangelis di Momenti di gloria e Blade Runner, un brano, quello di Elgar, che per gli inglesi è una specie di totem e che per Zimmer e Nolan diventa un “theme” dentro il quale costruire un mondo, orientamento a cui aderire e principio da osservare (e non c’è niente di male a essere patriottici, basta grattare via tutto l’orrore che nel corso del tempo ha travolto questa parola e il suo significato più intimo e profondo); in questa scena dove il cinema riacquista il senso del proprio sollievo, non di sogno o di fuga ma di corpo autonomo perché finalmente affrancato, Dunkirk si rivela un film assolto.
Un’assoluzione laica, senza trucco, senza riparo. E allora alla larga dai nolanismi e dalle costruzioni nolaniane, dal tenace immaginario di un autore talmente forte da insospettire molti (succede quasi sempre, con quelli che seguono e perseguono un progetto estetico), dai contorcimenti spazio-temporali, alla larga anche dai facili entusiasmi e odi critici: in quest’atterraggio dolce, in un arrivo che chiude gli eventi e insieme si apre al futuro e alla memoria di ciò che è stato, Dunkirk svela ancora una volta il bisogno di un cinema come sentimento.
Non è una richiesta reazionaria o antistorica: per Nolan è l’esigenza – assolutamente condivisibile e determinante – di un soccorso che soltanto il cinema oggi può concedere. Almeno il più vero. Lì, dunque, nella fine del volo dello Spitfire che ha tolto di mezzo i Luftwaffe e ha visto il ritorno a casa di numerosi soldati britannici, c’è qualcosa del cinema che ci deve piacere se lo amiamo sul serio; qualcosa di autentico che non fa rima con la verosimiglianza o gli avvenimenti effettivi, e che ridà valore a una prospettiva formativa del cinema, in cui l’emozione non è il risultato di un trionfalismo elementare ma l’effetto di un affetto che siamo chiamati a donargli. Dietro la macchina da presa e davanti allo schermo.
In questo modo, l’epilogo dello Spitfire di Dunkirk è sorprendentemente l’incipit di tutti gli amori del cinema, della resa di tutte le armi e dell’affermazione di ogni libertà, delle conquiste, delle confidenze e delle lacrime di gioia, dell’estinzione di tutti gli incubi e dello svuotamento della barbarie. Le prime immagini di tutti i film più belli della terra. Ricominciare dalla vita e dal cinema. Ricominciare a voler bene al cinema.
L'Operazione Dynamo si svolse in 8 giorni e riuscì a salvare la vita a 338.226 soldati da un'imminente invasione.