O último azul di Gabriel Mascaro

focus top image

È indubbio che questo sia un buon momento per il cinema brasiliano. In attesa di capire se qualcuna delle tre nomination all’Oscar del film Io sono ancora qui andrà in porto, nel concorso del 75° Berlinale è stato presentato O Ultimo Azul, scritto e diretto da Gabriel Mascaro, per la seconda volta a Berlino dopo la sua apparizione nel 2019 con il film Divino Amor. Come nella sua opera precedente, torna centrale il tema del desiderio, in questo caso quello di vita e di autodeterminazione in una donna di 77 anni, Teresa, interpretata da Denise Weinberg.

In un futuro non troppo lontano, gli anziani vengono allontanati dalle loro case, dalla famiglia e dalla società produttiva tutta per essere confinati in non specificate case di ritiro, villaggi lontani, in cui potersi finalmente riposare. Si mormora però che mai nessuno sia tornato da questi luoghi. Teresa non è pronta per lasciare il suo lavoro, un macello dove si prepara carne di coccodrillo, e non ha nessuna intenzione di ritirarsi. Ma la figlia non la pensa come lei e fa di tutto per riuscire finalmente ad imbarcarla sulle navette dirette verso le colonie per anziani. Teresa riesce però a scappare e si addentra in un viaggio fluviale sul Rio delle Amazzoni in cerca della libertà. Nel viaggio incontra personaggi disposti ad aiutarla e a sostenere la sua fuga, che pare prendere forma ed affermarsi in un gioioso impulso ribelle man mano che il tempo passa e che il fiume scorre dietro di lei.

Mascaro lancia una prima sfida rappresentando i corpi anziani come ancora desideranti, vivi, non sazi. Punta poi tutto sul fatto di inserire questi stessi corpi in un costrutto narrativo a metà fra il coming of age e la distopia. L’identità del personaggio principale travalica quella di madre e nonna, e nel corso del film acquisisce (e forse scopre) altre identità personali che si allargano oltre i ruoli sociali normalmente attribuiti alle donne anziane. Intorno a lei ruotano personaggi maschili fragili, che non riescono a portare a compimento nulla, annegati in una Amazzonia contemporanea, piena di contraddizioni eppure sempre bellissima e seducente, contesa fra capitalismo e magia, con una natura che sembra quasi parlare. Il ruolo del meraviglioso, del fantastico, brilla, occhieggia con lo spettatore, lo diverte.

Lo svolgimento del film procede così senza intoppi, lasciando un sentimento di compimento e una certa soddisfazione: ogni personaggio è solido nella sua costruzione e attraversiamo il suo mondo come portati per mano, così possiamo non preoccuparci della direzione ma semplicemente guardarci intorno.

Invecchiare può essere un processo positivo, dunque, ed è importante osare perché la fortuna esiste e lo stato alterato di coscienza continua a essere un mezzo per scoprire il futuro e dettare il nostro presente.

Commovente infine l’incontro fra Teresa e Roberta (Miriam Socarras), una sorellanza che è un inno a non perdere la speranza e al diritto di essere felici. Per scoraggiarsi e trascurare i propri desideri non c’è davvero più tempo.