Eighty Plus di Želimir Žilnik

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Come raccontare Želimir Žilnik (Novi Sad, 1942)? Il modo migliore probabilmente sarebbe guardando i suoi film, oltre una cinquantina di titoli, di cui alcuni ritrovati grazie allo sforzo che Doclisboa fece ormai già 10 anni fa dedicando a Žilnik una retrospettiva completa facendoci scoprire una cinematografia unica, capace di guardare nel corso degli anni a un intero continente e alle sue crisi da una posizione eccentrica, quella della Jugoslavia non allineata. E che il cinema stesso di Žilnik fosse non allineato lo si capisce fin dal suo  lungometraggio d’esordio Early Works (Jugoslavia, 1969). Orso d’oro al festival di Berlino e film manifesto dell’Onda Nera, la nouvelle vague jugoslava, il film racconta delle lotte studentesche a Belgrado ma anche dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia attraverso quattro giovani studenti appassionati del giovane Marx. Con costanza e testardaggine Žilnik costruisce una cinematografia irriverente, punk, lucida nella sua postura critica nei confronti del potere e nell’uso di un linguaggio sperimentatore (il docudrama) e accessibile insieme. Una cinematografia nomade, come la vita stessa di Žilnik che negli anni 70 migra in Germania per sfuggire alla censura jugoslava per poi ritornare a Novi Sad in Serbia, la Jugoslavia è ormai dissolta, dove ogni mattina si immerge nel Danubio, fiume che attraversa l’Europa ma anche il suo cinema.

Anche in Eighty Plus - Restitucija, ili, San i java stare garde il Danubio è uno dei personaggi del film che racconta di un territorio minacciato tra speculazioni edilizie e sfruttamenti agricoli. Dopo 60 anni vissuti in Germania, ma in continua tournée per tutta l’Europa col suo quintetto, Stevan, un ultraottantenne pianista jazz, torna in Serbia per accettare la restituzione post-socialista della tenuta dei suoi genitori. A gestire le pratiche trova un giovane ex impiegato dell’Ambasciata Serba a Berlino tornato a casa perché il momento magico berlinese è finito (come dargli torto), ma trova anche una famiglia agguerrita: l’ex moglie, la figlia con un marito impiegato statale frustrato e rabbioso e la nipote, sposata e con tre adorabili bambini, buttata per strada da un capitalismo a cui il post-socialismo non ha saputo porre limiti. La famiglia chiede che venga provata la capacità di intendere e di volere dell’ultraottantenne Stevan, che però è in una forma splendida, supera brillantemente i test e incontra anche una cantante di Night Club che lo ammirava fin da giovane. Invitato a cena dalla cantante, passa una serata a cantare successi da nave da crociera e decide di partire con lei per un lungo viaggio nei luoghi dove lei avrebbe voluto seguirlo in tour. Ma prima torna a visitare la casa avuta insieme alla rapace famiglia annunciando che ne farà una residenza per musicisti.

Girato con attori e attrici non professionist*, con quella tecnica del docudrama che gli ha permesso di scardinare e di far saltare certezze e abitudini sorprendendo sempre chi guarda - come non citare Kenedi Is Getting Married (Serbia, 2007) terzo capitolo della trilogia dedicata al rom kosovaro Kenedi, che decide di farsi sposare da un ricco gay borghese per avere il passaporto austriaco -  Eighties Plus ci racconta di un paesaggio europeo non in forma, ma che  due ottantenni, Stevan e Želimir, surfano con leggerezza e agilità ricordandoci che non tutto è perduto, neanche il cinema.