E’ incontestabilmente vero quello che da più parti si è scritto a proposito di Honeyland - Il regno delle api, confermato del resto dalle dichiarazioni d’intenti dei due registi Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov: che il documentario ci racconta di come un esempio di equilibrio miracoloso e fragilissimo tra presenza umana – Hatidze Muratova, carismatica custode di questo segreto – e mondo animale (qui rappresentato dalle comunità selvatiche di api instancabilmente dedite alla produzione del miele, non a caso considerato nella mitologia greca alimento di Zeus e degli dei) arriva a scontrarsi con l’irruzione di comportamenti che non rispondono a una logica di convivenza riconoscente ma di esplicito sfruttamento, al tempo stesso indotto da circostanze oggettive e brutale sia nelle sue manifestazioni che nei suoi effetti.
Hatidze si muove con leggerezza e gentilezza nel suo quotidiano confronto con le api. Le rispetta e, così come le sa circuire con le sue nenie e i suoi essenziali strumenti di lavoro per appropriarsi del prodotto del loro lavoro, contemporaneamente divide con esse quest’ultimo (“metà a voi e metà a me”): un gesto che rimanda alle origini lontanissime del genere umano, consapevole debitore della propria sopravvivenza ad altri esseri viventi, degni per questo di essere continuamente ringraziati e placati per la violenza che sono costretti a subire a tal fine. A sottolineare non soltanto l’appartenenza profonda di Hatidze a questo sistema di riconoscimento ma anche la precarietà cui esso è esposto sta la prima sequenza che ci mostra la donna raggiungere un favo selvatico sull’orlo di un precipizio, muovendosi con la semplicità e la grazia di un animale selvatico eppure cosciente di svolgere un’attività basata su conoscenza e tecnica tramandate di generazione in generazione, necessaria alla sua economia di pura sussistenza.
L’arrivo della numerosa famiglia di allevatori e apicoltori nomadi, che si installano sul territorio come suoi vicini e vi restano a lungo con l’intenzione di sfruttarne le risorse all’estremo, senza rispetto, con l’unico fine di asservirlo alle proprie necessità, sconvolge ogni equilibrio, rifiuta il sentimento della pietà in nome della sopraffazione, e finisce per far prevalere senza alcun rimorso una logica di morte su quella della gratitudine capace di favorire il riprodursi della vita. Quando ripartiranno lasceranno dietro di sé distruzione e desolazione.
Tutto questo è vero.
Ma il documentario racconta anche un’altra storia che vale la pena di considerare in tutta la sua bellezza. Hatidze ha continuato a vivere in quei luoghi perché così le è stato imposto dalla tradizione che vieta all’ultima figlia di sposarsi e le ordina di rimanere al fianco della madre, se questa è ancora viva, per badare a lei, curarla e sostentarla fino alla fine. Hatidze non sembra a prima vista rifiutare in alcun modo questa funzione; tutto nel suo comportamento pare esprimere una totale accettazione del ruolo assegnatole; una forma di obbedienza, la sua, che sembra sconfinare nella completa rinuncia ad attese o progetti di altro genere sulla propria esistenza. Ma, anticipato dalla scioltezza con cui la donna si muove nella città dove si reca a vendere il miele raccolto e dall’evidente divertimento con cui assiste alle manifestazioni sportive della sagra del villaggio vicino, l’elemento divergente che le cova dentro poco a poco emerge e finisce per manifestarsi – non tanto paradossalmente – nel rapporto di confidenza che, sia pure sotto traccia, si sviluppa tra lei e il ragazzino che della famiglia di nomadi è il componente più scontroso e ribelle.
Dopo la partenza degli intrusi, nel cuore dell’inverno la vecchia madre muore. E non dimentichiamo che di vera morte si tratta, poiché Honeyland - Il regno delle api è un documentario: i due registi hanno vissuto in situazione per circa tre anni e il racconto che ci hanno donato è distillato da 400 ore di filmato. Una volta attraversato il momento del dolore, Hatidze è infine sola. Abbandona i luoghi dove ha vissuto per tanti anni, risale un’ultima volta la montagna fino all’alveare che ci era stato mostrato all’inizio, raccoglie il miele che le servirà per il viaggio e parte accompagnata dal cane. Le immagini della sequenza conclusiva sono immerse in una luce trasparente come sa essere soltanto la luce del cielo terso in inverno: Hatidze condivide con il suo cane il miele, cibo degli dei, e fissa il suo sguardo nell’indeterminatezza del futuro. Uno sguardo che sorride. Un’anima libera.
La storia di Hatidze, apicoltrice macedone, e delle sue api arriverà nei cinema italiani a marzo 2020 e ci parlerà del rapporto uomo-natura, dei cambiamenti climatici e dello sfruttamento delle risorse naturali.