Isola di Sumba, Indonesia. Marlina è una donna. È vedova. Vive isolata. La conseguenza non può che essere una: è debole. O almeno questo è ciò di cui sono convinti gli uomini venuti a derubarla di soldi e bestiame – “la rapina” è il titolo del primo dei quattro atti che scandiscono il film – e poi a stuprarla. Sono talmente sicuri della sua debolezza, sicuri della sua incapacità di reagire, sicuri della sua sottomissione immediata, che il capo della banda non esita a comunicarle, con una calma che mostra tutta la sua arroganza, cosa esattamente le accadrà di lì a poco.
In realtà Marlina reagisce, con astuzia e con violenza. Marlina vince sui suoi assalitori. È seduta in mezzo a loro, a servirli (e cosa dovrebbe fare una donna se non starsene in cucina, preparare la cena e sedersi per distribuire le pietanze agli uomini?), ma nell'attimo in cui si scorgono le prime avvisaglie dell'avvelenamento, balza in primo piano. Non ci sono movimenti di macchina, solo uno stacco. La prospettiva non è cambiata, non ruota. Marlina è in ginocchio, ma trionfante, con gli uomini, fuori fuoco, che crollano alle sue spalle.
È da qui che prende corpo la consapevolezza della propria capacità di cavarsela. Quello che la protagonista capisce è che è sola e non può che trovare aiuto in se stessa. L'unico conforto che cerca è nel marito, morto, ormai cadavere mummificato. È a lui che si appoggia, dopo aver ucciso i banditi, è lui che abbraccia. Cosa può esserci di più straziante e insostenibile che avere sotto gli occhi, quotidianamente, il cadavere del marito? Sapere di non potersi permettere un funerale e una sepoltura degni? Convivere con la presenza fisica della morte e della perdita? Non ha quindi posto per altro dolore (ha perso anche il figlio), non può sopportarne altro, soprattutto se sotto forma di violenza e abuso.
È evidente che la forza femminile sia al centro del film. Nonostante le donne siano vittime e vengano umiliate, stuprate, picchiate, riescono a farcela. Persino il poliziotto (più interessato a giocare a ping pong che ad ascoltare la denuncia di Marlina) mostra una totale mancanza di empatia, di premura, di comprensione, rappresentando una giustizia incapace di poterla tutelare.
Marlina esce di casa, una casa buia, illuminata da una luce caravaggesca e intraprende il suo “viaggio” (titolo del secondo atto). Pur essendo consapevole che ciò che ha compiuto è stato un atto di autodifesa, pur affermando «io non ho commesso nessun peccato», il peso di ciò che ha fatto la segue: sia materialmente, dato che si muove portando con sé la testa del proprio assalitore (che pare quasi pesare più di quanto dovrebbe), sia idealmente, dal momento che il corpo (il fantasma?) decapitato le si accoda, suonando in maniera angosciante quello stesso strumento che Marlina aveva bruciato, senza alcuna possibilità di potervi sfuggire. Il viaggio, però, non porta alla confessione (titolo del terzo atto) degli omicidi di fronte alla legge, ma alla maturazione della propria forza.
Marlina. Omicida in quattro atti (presentato all'ultima Quinzaine des Réalisateurs di Cannes) è una storia di vendetta, di dolore, di solitudine, ma anche di riscatto, di forza, di giustizia. E di protezione; quella che si garantiscono le donne tra loro: Marlina che si assicura che la bambina non possa vedere la testa decapitata, Novi che accorre in aiuto di Marlina riservando al più giovane dei banditi il medesimo destino del più vecchio durante la ripetizione dell'atto di stupro, e ancora la protagonista che assiste l'amica nel parto (nell'ultimo atto, che infatti si intitola “la nascita”).
Anche se il film è stato definito un western, per via della protagonista che si porta sempre con sé un'arma, per via della musica, dei paesaggi (bellissimi i colori ispirati a Edward Hopper e ai quadri barocchi come ha dichiarato la regista Mouly Surya), seguendo Marlina nel suo viaggio si pensa soprattutto a un road movie. E cos'altro, quindi, nel finale del film, potrebbero fare la protagonista e Novi se non lasciare la casa e partire?
Marlina vive a Sumba in Indonesia. Sta risparmiando per poter seppellire il marito secondo i riti tradizionali. Un uomo si presenta alla sua porta e, impassibile, la informa che lui e sei compagni sono venuti per prenderle tutti i soldi, il bestiame e infine per stuprarla. Mentre è costretta a preparare la cena ai suoi aggressori, Marlina medita la propria vendetta. Intraprenderà un coraggioso viaggio alla ricerca di giustizia e lungo il suo percorso non smetterà di combattere contro un mondo che sembra essere dominato soltanto dalla violenza.