Rivive e muore dieci volte, Monsieur Oscar, col suo nome che sa come sempre d’autobiografia (è quello reale di Carax) e di fede caricaturale e struggente nel cinema. È se stesso ma dieci ruoli differenti, usciti dalla pagine di De Lillo o dall’est decaduto di Pola X, prelevati dalla foga grottesca di Merde! o da un teen movie lumpenproletariat, girati inmotion-capture erotica/anestetica o su lacrimosa partitura di Henry James. È un attore, Oscar? Forse. È sicuramente un individuo che produce di continuo storie, anche se non sa nemmeno se c’è un pubblico, per lui. Cosa resta della bellezza del gesto, se nell’oggi digitale ogni luogo è palcoscenico, schermo, specchio, vetrina, bacheca, se ogni cosa è registrata/archiviata in immagine ma forse nessuno la guarda, se ogni racconto è ridotto a frammento emotivamente esplosivo e privo di possibile sviluppo? Carax come sempre, in questa geografia di non-luoghi, cerca il senso unico della tragedia. Cosa resta d’umano, in questo film-palinsesto? Cosa resta d’autentico in questa inesausta performance? È un film sugli amabili resti, Holy Motors. Dell’uomo, del sentimento analogico, del cinema come traccia del vero.