Note sul convegno di Bergamo (20-22 settembre)

Santi subito?

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Il divismo cinematografico si è distinto per un iperbolico processo di celebrazione della notorietà dei propri esponenti. La santificazione addiveniva in vita. Poco utile il processo inverso di demistificazione, più interessante l'esame dei termini in gioco. (Francesco Pitassio, Attore/Divo (2003)

 

«Chiunque può fare l'attore cinematografico» aveva sentenziato lapidariamente Pasolini rispondendo in chiave telegrafica a una grande inchiesta con questionario, “Rapporto sull'Attore”, promossa da “Sipario” di Franco Quadri nei suoi anni d'oro, coincidenti con l'espansione massima del suo cinema.

Una convinzione suffragata certo dalla diretta esperienza condotta sui set di quegli anni, da Accattone a Uccellacci e uccellini, La Terra vista dalla Luna e Cosa sono le nuvole e oltre, “dirigendo” del pari gente presa dalla strada, a cominciare da Citti, Garofalo, Irazoqui, Davoli, o amici presi dalla vita (buona parte della distribuzione del Vangelo), ma anche mostri sacri dello Spettacolo del Secolo (scorso): la Magnani e Totò, la Mangano e Julian Beck, la Callas e Massimo Girotti, la Valli e Carmelo Bene, la Wiazemsky e Terence Stamp, la Asti come Lionello e Tognazzi.

Un'affermazione paradossale, quasi a salvaguardia di un ossimoro praticato: ma anche, di certo, un'asserzione indiretta confermante quanto parlare di attori sullo schermo sia paradossalmente difficile. Se poi invece si tratta di divi, peggio che mai...

Alcuni tra gli attori principali del cinema hollywoodiano classico (1930-60) - i Divi quindi per eccellenza - al centro della 24^, ormai classico appuntamento formativo annuale “Vedere e studiare cinema” della Federazione Italiana Cineforum, coincidente col suo 61° Consiglio Federale (Bergamo, Auditorium di piazza libertà ben noto ai frequentatori del Film Meeting e a quanti seguono le infinite proposte del Lab80, dalle 15.30 di venerdì 20 all'intera mattinata di domenica 22).

Si tratterà analiticamente, per parole e per immagini, di Marlene Dietrich e Ingrid Bergman, Marlon Brando e Gary Cooper, Marilyn Monroe e Humphrey Bogart, attraverso i reports che ne forniranno rispettivamente Sergio Arecco e chi scrive, Emanuela Martini e Mariapaola Pierini, Francesca Brignoli e Giulia Carluccio con Matteo Pollone.

Emanuela Martini, oltre a portare la “sua” lettura di Marlon Brando, dedicherà un atteso e singolare “fuori programma” a un personaggio/divo che segnò profondamente l'uscita non soltanto cronologica dal quel periodo: James Bond.

Sullo schermo, con La guerra dei vulcani di Francesco Patierno, Desiderio di Borzage (commedia del 1936, con la Dietrich e Cooper) e Assassinio sull'Orient Express di Lumet (smagliante Agatha Christie 1974, con un supercast di divi e grandi interpreti di fatto irripetibile, e dove sfolgorano gli incredibili pochi minuti che destinarono alla Bergman il suo meritatissimo ultimo Oscar da non protagonista).

Per non dire delle superbe antologie che il lavoro di Cristina Savelli ha dedicato ai film della stessa e della Monroe (in “prima” a sorpresa qui a Bergamo, nell'imminenza del libro di Francesca Brignoli in uscita natalizia), e quello di  Matteo Pollone con e Mariapaola Pierini e Giulia Carluccio ai titoli di Cooper e di Bogart (a sua volta in prossima uscita editoriale a firma appunto degli stessi Carluccio e Pollone).

Due novità di referenza insieme culturale e organizzativa connotano la proposta FIC/Lab80: l'inaugurata collaborazione con le Università di Bergamo, Firenze, Pavia e Torino (in particolare, qui, col suo permanente Centro di Ricerche su Attore e Divismo, diretto proprio da Giulia Carluccio), alle quali è affidato il coordinamento culturale delle giornate di studio, attraverso il lavoro di raccordo e sintesi affidato alle loro docenti di storia del cinema Barbara Grespi, Cristina Jandelli e Federica Villa (oltre che appunto a Carluccio e Pierini, relatrici in prima persona e operatrici di riferimento centrale del CRAD), da un lato. Il raccordo con la collana dedicata ai grandi attori dell'editrice Le Mani diretta da Francangelo Scapolla a Recco-Genova, dove sono via via apparsi, oltre ai testi già sopra ricordati o annunciati, la Dietrich e il Brando di Sergio Arecco, la Bergman di Lodato e Brignoli e l'esemplare Cooper della Pierini, dall'altro.

Il raccordo con i quattro atenei in questione non aspira a identificarsi con un fiore all'occhiello tanto vistoso quanto fine a se stesso: vuole invece tracciare l'itinerario di approfondimento e di studio attraverso cui, con tutta probabilità, il Comitato Centrale della Federazione Italiana Cineforum intenderebbe programmare un ulteriore biennio di indagine sull'Attore nel film, scandito attraverso due ulteriori puntate, dedicate rispettivamente ai periodi 1960-1990 e all'ultimo trentennio. Con caratteristiche e figure-chiave predominanti, va da sé, ben diverse da quelle oggetto di questa prima messa a fuoco. Tale lavoro non potrà che essere vantaggiosamente affidato a chi ha dedicato anni di riflessione, ricerca e attività didattica e pubblicistica ai temi corrispondenti.

Parlare dell'argomento, si accennava in apertura, è difficile. Per molteplici ragioni (anche ovvie: trattare dei divi stranieri doppiati lo è anche... doppiamente, com'è ad esempio intuitivo!).

Scriveva una decina d'anni fa Francesco Pitassio nel suo bel libro Attore/Divo (Il Castoro), citato in apertura:

«Il divismo cinematografico ha generato dagli anni Venti una quantità esorbitante di scritti dedicati alle persone: Asta Nielsen, Charlie Chaplin, Alexandra Chochlova, Greta Garbo, Douglas Fairbanks Sr., Marilyn Monroe, James Dean, Mary Pickford, Brigitte Bardot, Marcello Mastroianni.. .La panoplia di nomi potrebbe protrarsi, l'elenco allungarsi. Si abbreviano l'una e l'altro, per sottolineare le caratteristiche dei contributi. Il più delle volte questo tipo di scritti si strutturano in racconti biografici, il cui andamento è un processo di scoperta di sé da parte dell'eroe, analogo alle narrazioni fiabesche: attraverso una serie di prove qualificanti il protagonista arriva al successo e si realizza come modello sociale e individuale. Nella versione più moderna, si pone una dicotomia personaggio fittizio/individuo reale, in cui il primo è frutto di un sistema opprimente, e va a detrimento del secondo; in base a una tipologia culturale statunitense, il conflitto soggiacente oppone un individuo valorizzato a un sistema disforico. [...]. Inoltre, bisogna osservare che questi contributi sul divismo, nella versione cinéphile o negli aspetti più agiografici, rivelano più chi li redige che il proprio oggetto; nella migliore delle ipotesi, come negli omaggi ai divi silenziosi firmati da intellettuali prossimi alle avanguardie storiche, la riflessione sulla star è l'occasione per riconsiderare la funzione estetica e le sue forme nella contemporaneità. Perciò sembra opportuno assumere molta di questa produzione in rapporto agli scopi scientifici dichiarati: quindi, sottoponendo tali fonti secondarie - non direttamente legate alla carriera professionale dell'attor e- a un'attenta verifica, se la finalità della ricerca è di carattere biografico: oppure, inserendo tale produzione in un intertesto di cui partecipa, se l'obiettivo è la ricostruzione della modalità di esistenza di una persona  divistica».

Tra i termini  in reciproca alternativa di queste asserzioni analitiche, si giocherà non poco delle sfide che i relatori del convegno stanno per affrontare nella tre giorni di Bergamo.