Un uomo corre furtivamente attraverso il cortile interno di un condominio; un colpo di fucile esplode da un tetto e l'uomo cade a terra, privo di vita. Una domestica raggiunge immediatamente la propria padrona di casa per raccontarle la scena a cui ha assistito e per capire come agire: la moglie dell'uomo assassinato è la loro vicina di casa, che da qualche giorno si è rifugiata con il figlio nel loro appartamento, in attesa del momento opportuno per fuggire. In quella casa, tra anziani, ragazzini e donne, sono in nove; fuori c'è una guerra terribile e onnipresente. Fuori c'è la morte certa. Il loro è l'ultimo appartamento abitato di tutto il quartiere: una sorta di fortezza che Oum Yazan, la tenace protagonista del sorprendente Insyriated di Philippe Van Leeuw, non vuole abbandonare per nessun motivo.
Nessuno deve sapere della morte dell'uomo: nessun elemento esterno deve poter entrare nella casa poiché anche la più piccola delle crepe, visto l'orrore di cui il mondo al di là delle mura è colmo, rischierebbe di trasformarsi in una voragine irreparabile. Per Oum Yazan l'appartamento rappresenta tutto ciò che le è rimasto; i suoi familiari e gli oggetti di una vita riempiono ogni spazio di quel microcosmo e nulla può farla sentire più al sicuro; attendere che suo marito torni per salvarla è davvero l'unica cosa da fare.
La macchina da presa segue la donna lungo i corridoi labirintici della casa, mentre gira tra le stanze per assicurarsi che tutti stiano bene, fungendo in questo modo da collante per gli inquilini, unendoli per renderli inattaccabili. Ma il frastuono delle bombe continua a fare breccia nella fortezza, trasformandola ogni volta in una prigione da cui voler scappare, in una sorta di trappola mortale. A ogni attacco sonoro proveniente dall'esterno, la donna risponde controllando ossessivamente ogni serratura, ogni sbarramento e ogni tenda coprente.
La forza dei legami familiari, delle mura domestiche e degli oggetti è davvero sufficiente per contrastare l'orrore dal di fuori? Alle convinzioni della protagonista, Philippe Van Leeuwcontrappone non solo l'imprevedibilità della guerra, ma anche la voglia di reagire dei ragazzi, che tra incoscienza e necessità di vivere insistono continuamente per uscire, scappare e trovare un posto migliore. Ed è interessante vedere come lo spazio della casa sia trasformato a seconda del punto di vista dei personaggi coinvolti: prima come labirinto infinito e mai uguale a se stesso, poi come cella minuscola e claustrofobica, dopo ancora come luogo familiare e infine come territorio nemico.
Un cambio di registro che in alcuni momenti sembra ricondurre a una certa tipologia dafilm horror, in cui l'ambiente domestico diventa uno spazio pericoloso a causa di una minacciaesterna. E sotto questo punto di vista l'orrore, lasciato quasi sempre fuori dal campo visivo per scelta della protagonista, riesce a fare paura solo ai personaggi più anziani, che conoscono il volto del nemico, mentre i ragazzi più giovani ne sono spaventati solo quando vi entrano in contatto diretto. Ma la soluzione per tornare a vivere forse è proprio questa: provare a non avere più paura, aprire la porta e lasciare entrare la speranza.