Capita spesso che in particolari momenti storici, quando le antenne di critici, analisti e studiosi sono un po’ più dritte e rivolte all’attualità, si cerchi di trasformare valutazioni che potrebbero tranquillamente risiedere solamente nel campo della cinematografia, in prospettive ad ampio respiro sulle temperie politiche e gli sconvolgimenti sociali e culturali del mondo contemporaneo. È successo con alcune letture ardite di La La Land agli ultimi Golden Globe, capiterà – ne siamo certissimi – in maniera esponenziale ai prossimi Oscar e sta accadendo inevitabilmente in questi primi giorni della Berlinale (dove c’è chi ha visto in The Dinner echi di un discorso critico sulla tradizione dell’America trumpiana o dentro Trainspotting 2 una convinta propaganda anti-brexit, giusto per citare due esempi).
Anche volendo evitarlo, però, è impossibile non cogliere la grande attualità di un film come Le jeune Karl Marx e, allo stesso modo, la sua capacità di non trattare il materiale che racconta come l’esito di una storia passata. Andando incontro, in fondo, proprio a un’interpretazione anti-idealista della storia e assecondando così una prospettiva che è alla base del materialismo storico marxista. E il film di Raoul Peck – concepito negli stessi mesi in cui si celebrava il venticinquesimo anniversario della caduta del muro di Berlino e distribuito quando cade la ricorrenza dei cento anni esatti dalla Rivoluzione d’ottobre – affronta tanto la questione biografica della giovinezza di Marx, quanto la profondità del suo pensiero, senza mai spingere sul tasto della retorica, ma cercando di rendere attuale il racconto.
Il film è incentrato sul rapporto fra Marx e Engels a partire dal loro primo incontro, nei primi anni ’40 dell’Ottocento, fino al 1848 momento in cui i due – allora rispettivamente ventinovenne e ventisettenne – terminano la stesura del Manifesto del Partito Comunista e ne iniziano a promuovere la diffusione.
Se gli effetti del Manifesto – già a partire dal fatidico 1848 – sono noti a tutti, quello che è meno noto è come i due filosofi abbiano maturato e costruito giorno per giorno un sentimento, di come l’abbiano trasformato in un’idea, e come siano arrivati sino a strutturarlo in una vera e propria dottrina politica. Ed è questo che il film racconta. Del resto per tentare di spiegare, anche solo in maniera superficiale, o voler entrare nel merito della filosofia marxista non sarebbero sufficienti «né cinque minuti, né cinque ore, né cinque anni e nemmeno cinquanta!», come dice il regista. Ragione per cui ciò che il film mostra sono le dinamiche storiche, sociali, culturali e politiche della relazione fra i due pensatori certo, ma soprattutto la dimensione privata e umana di un rapporto intellettuale destinato a cambiare la Storia.
Con una sensibilità che sembra maturata da un cineasta caparbiamente e orgogliosamente comunista come Robert Guédiguian, qui produttore (fra gli altri), Peck riesce a entrare con grande efficacia nell’intimità della vita familiare di entrambi i protagonisti, evitando di cadere nella trappola del biopic agiografico di stile televisivo e mantenendo invece uno sguardo carico di rigore ma allo stesso tempo interiore, emotivo.
Si fissa sul dettaglio e sui campi stretti la macchina del regista haitiano, sta attaccata ai volti, ai corpi, focalizza le espressioni dei personaggi come se volesse estrarne e renderne visibile non tanto il pensiero, ma piuttosto il processo elaborativo. Marx ed Engels, le loro mogli, gli amici, i colleghi e gli avversari sono come ritratti di una composizione pittorica. Nel calore di una fotografia leggermente sgranata diventano raffigurazioni cariche di un realismo aspro che richiama alla mente l’estetica di Gustave Courbet, citato in maniera esplicita nel film mentre nel suo atelier parigino esegue il celebre ritratto di Pierre-Joseph Proudhon.
E da questo realismo – che non trascura un’attenzione meticolosa per la ricostruzione degli ambienti e per un uso della lingua il più possibile fedele (il film è recitato in tedesco, francese e inglese) – nasce un’illustrazione certamente inedita di Karl Marx. E non soltanto perché se ne restituisce l’immagine giovane (già di per sé difficilmente sovrapponibile a quella del signore barbuto e accigliato che tutti abbiamo in mente), ma soprattutto perché a essere messa in luce è quell’esistenza fatta di sacrifici, scelte decisive e dubbi che hanno lacerato la vita del filosofo sin dalla giovane età. Poco più che ragazzi Marx ed Engels si scoprono possessori e divulgatori di un pensiero radicale e critico di cui sono profondamente convinti. Le difficoltà che incontrano per metterlo a fuoco e portarlo all’attenzione del mondo sono però enormi. E il film queste difficoltà, anche con il merito di condurre soprattutto il pensiero politico sul piano della realtà – il litigio fra Marx e Weitling, vero acme del film, lo sottolinea alla perfezione – le ribadisce a più riprese. E invece che evocare la (facile) sensazione che la Storia, in quell’inverno del 1848, fosse lì ad aspettarli o che l’impeto teorico dei due avesse l’afflato della predestinazione, ci mostra la sofferenza fisica e psicologica dello studio e dello scontro con la struttura teorica dei pensatori con cui si confrontano. Oltre alla caparbia convinzione – poi confermata dagli avvenimenti – che lo “spettro” comunista potesse infestare l’Europa in modo molto più corrosivo delle altre dottrine politiche con le quali condivideva le istanze. Se un crescendo emotivo esiste in Le jeune Karl Marx, è infatti calibrato sulla costruzione, lenta, sofferta e carsica di un pensiero che è in grado di farsi linguaggio, e che dalle pagine dei libri arriva – mai come prima – fin dentro le fabbriche, per le strade. Che di rivoluzionario ha non solo la novità e l’irruenza, ma anche la capacità di avvicinare, aggregare e mettere insieme i destini di un intero continente senza che lingue e storie diverse e precedenti ideologie riescano a respingerlo. Predicando un’idea di unione destinata a cambiare le cose e che oggi, cento anni dopo la Rivoluzione d’ottobre, quello stesso continente sembra voler a tutti costi contraddire.