Return to Montauk, il nuovo film di Volker Schlöndorff presentato in concorso alla Berlinale,è l'opera di un regista quasi ottantenne, scritta da uno romanziere poco più che sessantenne (Colm Tóibín, l'autore di Brooklyn) e interpretato da un attore, Stellan Skarsgård, più vicino ai 70 che ai 60 anni. Un film inevitabilmente vecchio realizzato da persone vecchie.
È anche un film un po' paludato, una coproduzione tedesca, francese e irlandese girata a New York, e in particolare nella Manhattan stravista dell'alta società intellettuale, fra reading alla National Library, milionari collezionisti d'arte, avvocati di downtown, appartamenti nell'Upper East Side e case da rivista di design a Long Island. Un catalogo di cliché, dunque, con per di più un protagonista, lo scrittore tedesco Max Zorn, trasferitosi negli Stati Uniti con la moglie più giovane, che nel nuovo romanzo riflette sulle occasioni perdute della vita, sui rimpianti e sugli errori. Come se non bastasse, Schlöndorff lo ha girato con uno stile solido ma impersonale, classico nell'impostazione, bluastro nelle luci metropolitane, senza una scelta estetica evidente.
Return to Montauk è un film di scrittura, con uno scrittore per protagonista, uno scrittore per sceneggiatore e un regista che da sempre, e non solo dall'ultimo Diplomacy (si pensi alla versione di Morte del commesso viaggiatore dell'85 o all'azzardo del confronto con Proust di Un amore di Swann, 1983), si confronta con la messa in scena della parola. Per motivo, oltre i limiti evidenti e riscontrabili anche solo nei primi cinque minuti, è un film sulla scrittura, sulla costruzione di un mondo personale da condividere con un pubblico e sul sogno impossibile di dare ordine con la parola alla realtà tutta, e non solo alla dimensione soggettiva.
Lo scrittore di Return a Montauk, sessantenne ossessionato dal ricordo di una donna amata anni prima e perduta senza una ragione, è un demiurgo narcisista che nei romanzi racconta i propri fantasmi e spera con questo di conquistare il cuore e la mente di chi gli sta attorno e dei suoi lettori.
L'incontro con il fantasma, con la donna dei suoi rimpianti (Rebecca, interpretata dalla meravigliosa Nina Hoss, nella finzione più vecchia dalla moglie del protagonista ma nella vita vera di due anni più giovane...), cercata con insistenza e incontrata dopo anni di separazione, è il coronamento di un racconto interiore che per lo scrittore coincide con la sua stessa vita, con una visione della realtà alterata dall'abitudine alla narrazione, forse dalla menzogna.
Il ritorno al passato, nella località di Montauk, lungo le spiagge bianche e wasp di Long Island, teatro anni prima dell'amore fra Max e Rebecca, segna il picco del racconto. Con un regia molto controllata, una fotografia giocata sui colori tenui del paesaggio autunnale, con campi e controcampi che seguono la ritmica interiore dei personaggi, con due attori, Skarsgård e la Hoss, misurati e perfetti, con un uso delicato e mai ingombrante di Mahler, il film trova nel nuovo incontro fra i due vecchi innamorati, una dolcezza e una potenza emotiva ben oltre la confezione matura e sommessa di tutto il resto.
Soprattutto, però, grazie a un'intuizione di sceneggiatura di grande coraggio, l'inevitabile e melodrammatica separazione dei due amanti non avviene su un piano sentimentale, ma su uno puramente immaginario, letterario anche, quando lo scrittore con il sogno di possedere il proprio mondo interiore e quello delle sue creature scopre di non avere accesso alla mente e all'anima del suo fantasma. Scopre di non essere il fantasma del suo fantasma. O meglio ancora, scopre con stupore attonito che Rebecca, il suo fantasma, la sua creatura, ha saputo "entrare" nei pensieri di un'altra persona diversamente e meglio di lui...
In Return a Montauk il rimpianto di un uomo si fa piccolissimo di fronte al dolore sconosciuto di una donna; così come, nel resto del film, la figura dello scrittore di successo, monumentale nel fisico e fragile nell'anima, sbiadisce di fronte ai bellissimi, fugaci ma precisissimi ritratti delle tre donne che lo accompagnano: Rebecca, il fantasma, algida, ferita, "morta" come dice a un certo punto; Clara, la moglie, plasmata, amata, trascurata, tradita; Lindsey, l'assistente, giovane, sola, tenace, discreta. Tre figure che non vanno a comporre l'immagine di un universo femminile unico e sfaccettato, ma semplicemente, con la loro indipendenza e la loro bellezza si pongono di fronte al protagonista come il segnale di un'alterità inavvicinabile e impossibile da conoscere. In sostanza, come il segnale del suo fallimento come scrittore prima e come uomo poi.