È davvero così impossibile sedersi davanti a un computer per guardare un video su YouTube girato con il cellulare da una coppia di ragazzini e, senza quasi rendersene conto, finire su una pagina che narra delle conseguenze della battaglia di Gettysburg della guerra di secessione americana, passando per qualche foto su Instagram con hashtag #FoodPorn?
Nella quotidianità iperframmentata in cui viviamo oggi, la linearità è un concetto perduto che sempre di più rappresenta un lontano ricordo; ed è qualcosa di normale passare mentalmente da un tema a un altro senza alcun tipo di soluzione di continuità, non provando nemmeno per un istante un minimo senso di smarrimento. Com'è possibile però, in questo modo, riuscire a mantenere la realtà sotto controllo? È possibile trovare un senso delle cose univoco e inattaccabile? In che modo dei genitori possono trasmettere ai propri figli qual è il modo corretto per stare al mondo?
È esattamente su questi temi che Oren Moverman vuole interrogarsi con il suo The Dinner, nuovo adattamento dell'omonimo romanzo di Herman Koch, dove due coppie di genitori si incontrano a cena in un ristorante di lusso per decidere come comportarsi nei confronti dei rispettivi figli, protagonisti di un terribile crimine. Come già accaduto con i suoi film precedenti, il regista israeliano sceglie di plasmare lo stile visivo e narrativo del film sulla visione del mondo del personaggio principale: in questo caso ci ritroviamo da subito immersi in una sorta di flusso di coscienza per immagini, in una realtà descritta come un incontrollabile ipertesto a cui Paul, professore di storia interpretato da un ottimo Steve Coogan, cerca continuamente di dare un senso.
I ricordi, i pensieri, le parole e le spiegazioni si susseguono, le immagini mutano e si adattano continuamente al discorso e i (non) luoghi in cui si muovono i protagonisti restituiscono un'atmosfera fumosa e irreale: a tutto questo Paul vuole mettere ordine articolando il discorso come se fosse una delle sue lezioni di storia, senza però mai ottenere quella semplificazione della realtà che cerca ossessivamente. Prova a tornare col pensiero alle origini della società americana, senza riuscire a trovare le parole per costruire una lezione adatta ai suoi studenti; cerca di trovare nei ricordi il perché suo fratello è per lui ormai un estraneo o dove ha sbagliato nell'educazione del figlio; s'interroga sul perché è di una cena organizzata per risolvere un problema comune, dove però ciascuno sembra parlare solo con se stesso.
Paul ci prova di continuo, ma si perde continuamente, interrotto da camerieri che descrivono portate il cui prezzo è "una dichiarazione di guerra" e che nessuno mangerà o da personaggi che entrano ed escono dalla scena, conducendolo in altri luoghi e in altri pensieri.
La soluzione, alla fine, sembra essere una sola: abbandonare la complessità, rinunciare all'utopia di dare un senso lineare alla realtà e rifugiarsi nell'intimità di un rapporto sincero. Cercare la complicità con le poche persone realmente vicine e proteggere l'integrità del nucleo familiare. Peccato che, appena usciti da questo microcosmo di serenità, le probabilità di essere risucchiati dagli eventi, perdendo nuovamente il controllo su ogni cosa, sono pressoché certe.