Una ragazza che viaggia da sola, un treno, un compagno di scompartimento, la Russia nordoccidentale in pieno inverno. A volte basta davvero poco per fare un grande film. E Compartment No. 6, se vogliamo, è tutto qui. La ragazza si chiama Laura, è finlandese ma studia archeologia a Mosca, parla il russo molto bene e lascia la compagna nella capitale in un momento stagnante della loro relazione per andare a Murmansk (distante duemila km e quasi tre giorni di treno), cittadina a nord del circolo polare artico sul mare di Barents, a vedere alcune incisioni rupestri di 20000 anni fa. Il compagno di viaggio, Ljoha, è un giovane ragazzo russo diretto a nord per andare a lavorare in miniera.
Laura è colta, intelligente, perfettamente in grado di viaggiare da sola anche in un luogo tanto “straniero”. Eppure è fragile, spaventata, malinconica – soprattutto per la sua situazione sentimentale – e così insofferente da pensare di tornare a Mosca già dopo la prima fermata del treno. Ljoha è l’esatto opposto: rozzo, diffidente, scorbutico. Si prende una sbronza subito dopo la partenza e diventa immediatamente molesto con Laura. Ma il tempo, la convivenza forzata e una serie di situazioni che i due si trovano a condividere, aprono piccoli spiragli di intesa che lentamente prendono la forma di una complicità, poi di un’amicizia (tanto effimera quanto profonda) e forse anche di qualcosa di più.
Certo la trama è prevedibile, la costruzione drammaturgica un poco schematica e in fondo Compartment No. 6 ha tutti i cliché più tipici del road (o rail) movie. Ma a contare nel film di Kuosmanen non è tanto quello che il film racconta, quanto tutto ciò che quel racconto evoca. Proprio come in una favola sono infatti i personaggi, le loro storie, i rapporti fra essi e lo spazio che li circonda a diventare importanti. Il regista sospende la storia in una temporalità imprecisata (siamo forse fra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, ma non si capisce con esattezza) togliendo ogni punto di riferimento e racconta un’epoca che potrebbe essere la nostra ma allo stesso tempo appare lontana, perduta nel passato.
E se è difficile capire quando siamo, allo stesso modo lo è il dove. Certo, sappiamo da dove parte il treno e qual è la destinazione, ma in quei due giorni e mezzo di viaggio nel nulla dell’inverno russo ogni riferimento si smarrisce e, proprio come il tempo, anche lo spazio sembra diventare immutabile.
Lì, dentro a un treno a lunga percorrenza con i tappeti bukara stesi nei corridoi degli scompartimenti, i bicchieri da tè in vetro con i supporti in metallo, le babushke sedute nei vagoni e i controllori in rigida divisa militare, sembra che tutto sia indefinibilmente bloccato fra l’epoca sovietica e la tradizione. Ci scherza anche su Laura quando durante una lunga sosta Ljoha la porta a conoscere un’anziana donna non meglio identificata (forse la nonna del ragazzo o forse solo qualcuno che si è occupato di lui quando era piccolo) che vive in mezzo a un bosco innevato in una baracca con la stufa, la vodka e i cetrioli in salamoia: «manca solo la balalaika» esclama la ragazza.
Eppure, non è una Russia da cartolina quella di Kuosmanen, piuttosto un luogo dello spirito e del sogno. Uno degli ultimi luoghi sulla terra in cui un banale viaggio in treno può ancora diventare un’avventura e, ovviamente, in cui una volta partiti la destinazione è l’ultima cosa che conta. Solo lì Laura può sperimentare l’alterità e provare per mezzo di questa esperienza a ripensarsi radicalmente come persona. E a scoprire che forse non appartiene del tutto al mondo delle élite culturali moscovite come crede e che magari le cose in comune con Ljoha sono molte più di quanto non sembri. Allo stesso tempo per Ljoha è l’occasione per vedere il mondo che conosce sotto una nuova luce, per scoprire che si può fare un viaggio lungo e pericoloso anche solo per la soddisfazione di guardare una pietra incisa da qualcuno centinaia di secoli fa in luogo sperduto. O che dentro a un disegno, anche fatto male, di fretta o schizzato su un foglio con una matita, si nascondono storie vertiginose e inimmaginabili.
Nulla di particolarmente originale forse, eppure un messaggio che colpisce nel profondo e in modo universale. E non tanto per un’idea romantica di libertà cui il topos del viaggio tradizionalmente rimanda, ma perché probabilmente un viaggio del genere nel profondo lo sogniamo (o lo abbiamo fatto) tutti e, proprio come il film, è un sogno che non passa mai.