Marcello mio è un film di Christophe Honoré con Chiara Mastroianni, su Chiara Mastroianni, e verrebbe da immaginare anche “scritto da” Chiara Mastroianni. Eppure l’attrice italofrancese non è accreditata come autrice. «Non riesco a scrivere un film nel vuoto, ovvero senza avere in testa degli attori e delle attrici, i loro gesti, i loro volti, i loro corpi», dice Honoré. Scegliere gli attori a monte della scrittura, tenerli a mente come materiale insostituibile, come inchiostro nella costruzione del discorso: oltre che in alcune produzioni teatrali, Honoré ha voluto Chiara per almeno sette film, dal 2007 in poi, ma per quest’ultimo la scelta non può che essere definita sartoriale. Il film è costruito sull’amica attrice, sulla conoscenza precisa di elementi della sua vicenda personale, su un corpo che è il frutto dell’incontro tra due icone assolute del cinema (Catherine Deneuve e Marcello Mastroianni, ovviamente) e ne porta vistosamente l’eredità, che è motore e limite di una vita dove professionale e personale hanno confini molto indefiniti.
Nell’immaginare questo film intorno alla sua “attrice preferita in Francia”, Honoré non punta al documentario, al biografismo secco, agli accidenti minuti, al pettegolezzo: in qualche modo tutti i personaggi, pur coincidendo con l’identità biografica delle persone che li incarnano, accettano di essere tassello di un racconto fatto di echi, ricordi, analogie. Il racconto di una donna che si chiama Chiara, attrice, figlia di attori celeberrimi, che un giorno d’estate si cala in un percorso di riappropriazione dell’eredità del padre, al punto da diventare lui e arrivare a convincere gli altri di essere Marcello.
Si potrebbe leggere tutta l’operazione come un’esperienza psicanalitica “diversa” offerta da Honoré all’amica, indotta a calarsi in un processo di transizione temporanea nei panni del padre, con il fine ultimo di elaborarne il fantasma. Non il lutto, non c’è nulla di triste o funebre in Marcello mio, e ci mancherebbe, a quasi trent’anni di distanza. Aleggia però il fantasma, un combinato di ricordi personali, di tratti ereditari che si è disposti a riconoscere, intrecciati con tutti i connotati dell’iconicità assoluta, quelli che su una persona come Chiara sono i più deleteri, quelli che l’hanno portata infinite volte a essere innanzitutto la “figlia di”, maledetto genitivo.
Il film non a caso si apre con l’attrice alle prese con il reenactment dozzinale, diretto da una fotografa non esattamente raffinata, di una delle più iconiche immagini della storia del cinema: Chiara si immerge in una fontana come Anita Ekberg in La dolce vita, con una parrucca bionda che la fa però somigliare in maniera inquietante a sua madre Catherine: si ha l’impressione che il risultato vada oltre l’aspettativa, che in qualche misura questa scena sia un “incidente” nella struttura aperta del film, che prova una volta di più la condizione di persona intrappolata nell’eredità di due figure ultra-iconiche. Dopo un provino accanto a Fabrice Luchini per Nicole Garcia, che le chiede di essere un po’ più Mastroianni e meno Deneuve, con l’implicita idea di recuperare dal padre quella versatilità assoluta, la capacità di farsi abitare dai personaggi con straordinaria, apparente naturalezza, Chiara vede nello specchio i propri lineamenti dissolvere in quelli del padre (con una CGI volutamente kitsch), e in lei prende il sopravvento l’urgenza di fare i conti con l’eredità del padre rimettendolo al centro della scena, di calarsi nei suoi panni, di diventare lui; e lo fa con un intervento di drag, in verità minimale: non serve troppo trucco, giusto un po’ di parrucco, l’abito preso in prestito all’ex compagno Benjamin Biolay, e il recupero di qualche vezzo, come l’abitudine di adottare i cani randagi.
Ovviamente questa “transizione” porta a una polarizzazione tra amici e famigliari, alcuni ben disposti ad accettare Marcello, come fa da subito Luchini, che è perfino felice di poter costruire un’amicizia con un attore con cui non ha mai avuto la fortuna di lavorare, altri che rigettano violentemente il nuovo Marcello, come Melvil Poupaud, fidanzato di Chiara negli anni dell’adolescenza, quello che si sente più legato al ricordo di Marcello. Non si pone minimamente il problema il personaggio di Colin (Hugh Skinner), il soldato inglese incontrato su un ponte di notte, che vive uno statuto completamente differente dagli altri, vero? immaginario? incorporeo o corporeo è fantasma a sua volta, e ha una consistenza che può rimandare tra l’altro a Fantasmi a Roma di Pietrangeli o a Fantasma d’amore di Risi, oltre evidentemente alle Notti bianche di Visconti, ricordato esplicitamente.
Non è per tutti, forse, il patto di sospensione dell’incredulità che Honoré chiede allo spettatore, ma in fondo, fin dai tempi di Coleridge, è riconosciuta come un meccanismo poetico fondamentale. E Honoré non vuole rinunciare alla poesia, in questo pastiche che vede da un lato l’operazione camp del travestimento (in molti momenti la somiglianza continua a essere più che perturbante) e dall’altro il percorso, il viaggio come unico mezzo di risoluzione di quella che è in ogni caso una crisi. Un viaggio che comincia a Parigi – e che fa tappa nell’appartamento di lusso dove Deneuve, Mastroianni e la figlia hanno vissuto sopra l’appartamento della Callas –, e che non può che concludersi in Italia, dove tutto è cominciato, in una Roma estiva e un po’ laterale, attraversata su uno scooterone per un confronto brutale con il kitsch della RAI pomeridiana, un’ospitata da Francesca Fialdini in Da noi… a ruota libera.
Un momento oltremodo straniante, quest’ultimo, non solo perché risuona in maniera completamente diversa ai nostri occhi, essendo la televisione italica rappresentata senza mutare di un sol tocco, ma anche perché è raffigurazione icastica di quella parte più problematica dell’eredità Mastroianni con cui fare i conti. Ma la vera conclusione non può che avvenire sulla spiaggia di Formia, scorcio felliniano ma, soprattutto luogo dei ricordi belli dell’infanzia. Per rialzare la testa dopo l’umiliazione televisiva è necessario lasciare Marcello, mollare i suoi panni, il fantasma sulla spiaggia e provare a nuotare con le proprie braccia.