Un problema arcinoto in storiografia è che la versione dei fatti che spesso appare nei libri rischia, talvolta, di essere una narrazione lineare costellata di grandi eventi più che un fitto groviglio di questioni che emergono dai suoi “sentieri interrotti”. Noire, il documentario in realtà aumentata vincitore del premio di Migliore Opera Immersiva alla 77esima edizione del Festival di Cannes riflette in maniera innovativa su questa antica questione e sceglie di dare nuova voce a uno dei personaggi rimasti nascosti nelle pieghe della storia della lotta per la conquista dei diritti degli afroamericani.
Riadattamento di un saggio prima e di un monologo teatrale poi, Noire mette in scena la storia di Claudette Colvin, un’attivista donna tutt’ora vivente originaria dell’Alabama che, appena quindicenne, fu arrestata e processata per non aver ceduto il proprio posto in autobus a una persona bianca. Come e prima di Rosa Parks, la sua storia fu ispiratrice delle lotte per i diritti civili degli afroamericani. A differenza di Rosa Parks, però, la figura di Claudette è rimasta a lungo in secondo piano e la sua storia personale non ha goduto di altrettanta fortuna: giudicata colpevole di violazione della legge separatista, Claudette ha vissuto sotto il difficile peso di una condanna che le ha impedito di avere accesso a un’educazione e a molte opportunità lavorative. Perché questa asimmetria? Perché Claudette non fu “come” Rosa Parks?
Da queste complesse premesse prende le mosse Noire, invitando il visitatore a rivivere la storia della sua protagonista in una coinvolgente opera documentaria. Grazie all’uso della realtà aumentata i personaggi, i luoghi e gli spazi diegetici si disegnano nello spazio fisico dell’installazione apparendo come fantasmi – moderne fantasmagorie contemporanee – per ridare voce a una pagina del passato. Per la durata dell’installazione siamo così invitati a danzare e a spostarci insieme ai personaggi, camminando in uno spazio fisico continuamente trasfigurato dalle esigenze della narrazione. La scenografia, essenziale, acquisisce sempre nuovi significati: le sedute che arredano lo spazio di scena divengono a volte sedili di un autobus, a volte panche di un’aula di tribunale o postazioni per lavori di taglio e cucito in un carcere femminile.
Al posto di far “esondare” l’immagine dai limiti del frame cinematografico per costituire un ambiente nel quale tuffarsi, Noire moltiplica consapevolmente le cornici e ci invita a guardare dentro e fuori i limiti dell’immagine – quella “fisica”, proiettata nello spazio installativo, o quella “aumentata”, resa ologramma dal visore – come si guarda tra le maglie stesse della Storia. Un tappeto di documenti d’archivio, visivi e sonori – con musiche di Nina Simone, Mahalia Jackson o Ray Charles, le cui melodie hanno accompagnato i movimenti per le proteste per i diritti civili – costituisce il contrappunto intermediale di questa opera ricca e stratificata che intreccia sapientemente linguaggi vecchi e nuovi, spazi e tempi reali e immaginari.
L’essenzialità della scenografia, continuamente reinterpretata dalla tecnologia, dà il senso di una storia da ricostruire e la crasi tra spazi fisici e visivi, vero vantaggio della tecnologia della realtà aumentata rispetto a quella virtuale, radica e autentica la narrazione. In questo spazio ibrido, i visitatori/spettatori sono interpellati direttamente e chiamati implicitamente a compiere una scelta di rispetto. Solo facendo l’esperienza, infatti, questi hanno la possibilità di alzarsi, lasciando così il loro posto a sedere alla versione ologrammatica di Claudette.
Solo nella versione in realtà aumentata dell’opera, rispetto alle sue versioni precedenti, è possibile “fare spazio” a Claudette Colvin, darle nuova voce e rendere per la prima volta giustizia alla sua storia.