Questa sera su Iris (canale 22) alle 23:05 Atto di Forza, di Paul Verhoeven. Film tratto da un racconto di Philip K. Dick (We Can Remember It For You Wholesale - Ricordiamo per voi) e i cui sceneggiatori erano gli stessi di Alien (il primo). Elementi sufficienti per renderlo un'opera convincente? Leggiamo cosa scriveva Paolo Vecchi su Cineforum 302.
«Gli androidi sognano di pecore elettriche?», si chiede ironicamente il titolo del romanzo di Philip K. Dick dal quale Ridley Scott ha tratto Blade Runner. Atto di forza, che deriva da un altro testo dello scrittore americano, pubblicato ora da Fanucci con il titolo di I difensori della terra, affronta anch'esso il tema della memoria ricostruita, questa volta negli umani. Grazie ad un micidiale cocktail di chimica ed elettronica, infatti, una società “turistica”, la Recall, è in grado di trapiantare ricordi di viaggio personalizzati in clienti che non possono permettersi la spesa di una reale vacanza. Il procedimento, però, non è a prova di errore, cosicché è possibile che il viaggio si trasformi in incubo. Da questa idea di partenza, indubbiamente suscettibile di sviluppi interessanti, avrebbe dovuto derivare la spina dorsale del film.
In effetti, Verhoeven mantiene fino alla fine l'ambiguità sulla concretezza delle mirabolanti avventure di Doug Quaid su un “pianeta rosso” del 2084, popolato da teratologici mutanti e tenuto in pugno dallo spregiudicato Cohaagen, inserendo anche nella vicenda la variante dell'inviato (vero o previsto dal programma?) della Recall che ammonisce l'eroe ad interrompere l'esperimento. Ma la sceneggiatura, nonostante sia affidata a specialisti come Ronald Shusett e Dan O'Bannon (Alien), tradisce in buona parte lo spunto iniziale, lasciando per strada le sfumature a favore dell'azione fine a se stessa, del colpo di scena ad effetto. Così, né le fantasiose scenografie di William Sandell, né gli impressionanti effetti speciali di Rob Bottin e della Dream Quest Images, né la suggestiva fotografia di Jost Vacano, né l'incalzante colonna sonora di Jerry Goldsmith contribuiscono a ripetere l'eccellente risultato “collettivo” di Blade Runner. Anche perché, in luogo della pensosa interiorizzazione parachandleriana di un Harrison Ford al meglio, ci si deve qui accontentare dell'esteriorità muscolare e della mascella Cro-Magnon di Arnold Schwarzenegger.