In un’intervista a Libération, Sylvain George, parlando di questo suo ultimo Paris est une fête (presentato al Filmmaker Festival), si è detto deciso a fare un passo ulteriore nella sua opera per passare «de la sidération à la considération» ovvero dall’intollerabile al percettibile. Sta qui il senso profondo e militante, nell’accezione più letterale del termine, del suo cinema frammentato ed evocativo. Un percorso netto, mai lineare eppure sempre stringente, profondamente legato al tempo del racconto e dalla Storia. Tempo, cronaca, attualità sono infatti i termini cardinali del cinema di Sylvain George nonostante – o meglio proprio per questo – proceda poi per esplosioni (Les Éclats (Ma gueule, ma révolte, mon nom)), per pagine (L'Impossible - Pages arrachées), per figure (Qu'ils reposent en révolte (Des figures de guerres I)), oppure per onde come in questo ultimo caso (Paris est une fête – Un film en 18 vagues).
Attraverso la frammentazione e il bianco e nero, divenuto costante estetica e poetica, il regista, lavora infatti proprio sul dare una temporalità altra all’attualità. E questa volta, in questa Festa Mobile notturna e spettrale, racconta del fluire parallelo di avvenimenti che hanno caratterizzato la storia recente, recentissima (tra il 2015 e il 2016) della capitale francese. Un continuum non continuum, spezzettato e ondivago, una storia che avanza e refluisce come in una risacca continua che rende l’attesa infinita e il cortocircuito perenne. Come sempre il senso del discorso sta in ciò che non si vede, in ciò che rimane fuori campo, intorno al viso inquadrato in primissimo piano del ragazzo fuggito dalla Guinea, intorno a place de la République, agli spiazzi in cui bivaccano i migranti senza tetto, ai cordoni del CNRS, ai manifestanti di Nuit Debut, ai comizi, ai tappeti trascinati, alle mani nel buio, a un beatbox nella notte. Dettagli che spappolano la moltitudine, la massa uniforme, per resituirle la dignità di ogni singolo elemento che la compone.
La storia è si ognuno ma la Storia è di tutti. E cosí la battaglia poetica di Sylvain George fa un passo avanti ricollocando, nello spazio e nel tempo filmici, i movimenti e gli accadimenti ai quali vuole dare considerazione, legittimità, forza proprio attraverso questa specie di atemporalità costruita. Non ha forse l’energia scomoda e disturbante di Qu'ils reposent en révolte o di Les Éclats questo nuovo film, ma si inscrive con rigore dentro al cammino di questo cineasta coerente e preciso che continua la sua riflessione su una società che nel tutto esposto sembra sempre più perdere l’orientamento e la capacità di guardare.