Un coloratissimo cartoon apre le danze del 39mo Torino Film Festival. Se Sing (2016) è stato uno dei migliori musical della sua stagione, il suo sequel che esce un anno dopo la data prevista causa Covid, ne segue degnamente le orme. Forte di qualche asso nella manica ad arricchire il tutto.
La troupe messa su dal volenteroso imprenditore Buster Moon (Koala dai propositi più grandi del suo fisichino: «si deve sognare in grande!») spopola nella sua città con un musical su Alice nel paese delle meraviglie. Peccato che la talent scout che li va a visionare non li ritiene adatti alle ribalte di prima grandezza («Non siete abbastanza bravi»). Ma questa anziché essere una bocciatura si trasforma in uno stimolo («Coraggio, resistenza, fede, ha bisogno di queste cose adesso....»). Raccattati i suoi, parte in bus alla volta della scintillante Redshore City – sorta di cromaticamente esplosiva Las Vegas-Broadway che pare progettata da un architetto di Luna Park – per fare un provino alla corte del potentissimo, spietato, Jimmy Crystal (non per niente un lupo bianco). Coincidenze e impudenza fanno sì che il progetto semi improvvisato da Gunter, nientemeno che un musical fantascientifico, venga accettato, anche perché Buster propone come colpo di scena finale la rentrée della leggendaria rockstar Clay Calloway, ritiratosi in una villa sul lago (piuttosto italico) da più di un decennio rifiutando anche ruvidamente ogni contatto col mondo. In più la figlia di Jimmy, Porsha entra prepotentemente nel cast anche per le paure di Rosita, con tutti gli atteggiamenti canonici della ragazzina viziata. Insomma il piccolo impresario di provincia forse ne ha sparata una di troppo. O no?
Chris Meledandri è il genio della lampada (la sua “ditta” si chiama Illumination) del progetto, totalmente in linea con la filosofia della rilettura hollywoodiana dei generi attraverso la computer graphic, elaborata inizialmente dai rivali della Pixar, ma qui con ancor maggiore attenzione allo slapstick puro, cercando magari di disturbare il meno possibile il senso comune (vedi anche le sue altre filiere di successi, da Cattivissimo Me and Minions e Pets). La regia di Garth Jennings, memore forse del suo debutto deliziosamente scombinato di Guida galattica per autostoppisti nel 2005, cura le gag e l'assurdo in uno schema da musical classico in cui i buoni sentimenti sono così zuccherosi, nel contesto scenografico da Paradiso per bambini o per ragazzi in preda a soavi allucinogeni, da risolversi quasi sempre in autoironiche strizzatine d’occhio. E poi ci sono gli assi. Una colonna sonora a riprendere gemme del lato più pop del rock (da Elton John agli U2, passando per Bacharach), la vittoria della breakdance sulla tradizione classica del balletto e la presenza di voci, in originale, di star da “urlo”, come ad esempio Matthew Mc Conaughey, Reese Whiterspoon, Scarlett Johansson e soprattutto Bono, dietro la sagoma da leone stanco di Clay (che ricorda un po' Nick Nolte). In Italia verrà doppiato da Zucchero, il che dona un tocco di curiosità in più.