Gira che ti rigira, l'ultimo Pupi Avati sembra ruotare il suo mestiere e la sua poetica intorno al tema del calore confortante della famiglia, forse come non mai prima. Dopo 55 anni di onoratissima ed ecclettica carriera tra escursioni nel cinema di genere, autore di horror appetitosi anche in tarda età, vedi Il signor Diavolo (2019), ma specialmente di commedie che nascondono l'acido prussico sotto il miele della nostalgia e del sentimentalismo, sempre con una vocazione/aspirazione al gran cinema poetico d'autore non sempre riconosciuta, il cineasta jazzofilo bolognese trasmigrato a Roma, a 86 anni dignitosamente portati, sembra aggirarsi intorno proprio al tema intimo del potere collante (e del dolore ora stemperato ora ancora sanguinante) del nucleo familiar patriarcale, vedi Lei mi parla ancora, 2021 o La quattordicesima domenica del tempo ordinario, 2023.
Questo documentario fiction presentato fuori concorso al 42mo Torino Film Festival, prodotto da Minerva con partecipazione Rai e Istituto Luce, parte proprio dalla fine, un ultimo pacioso pranzo di Natale dove, circondato da figli, parenti, nipotini e qualche amico, Benedetto Croce, il grande nume della cultura italiana del '900 sembra accomiatarsi da una vita grandiosa e drammatica.
Raccontata con le parole e lo sguardo (anche quello di lei bambina) di Benedetta Craveri che non va dimenticato essere, oltre che nipote del filosofo, anche acclarata studiosa della cultura francese e autrice di saggi gustosissimi e preziosi (ad esempio, si leggano da Adelphi: La civiltà della conversazione 2001, Amanti e regine, 2005, Gli ultimi libertini, 2016), si parte dai teneri rituali prandiali per poi risalire in flashback, tra recitazioni di attori, immagini d'epoca e testimonianze, lungo la biografia di Croce. Dal terremoto di Casamiccola nel 1883 che lo sconvolse e lo lasciò orfano, agli studi sotto tutela dello zio Silvio Spaventa, all'amicizia prima fervida poi segnata dal dissidio politico con Giovanni Gentile, all'opposizione al fascismo da profondo liberale integerrimo quel era, alla vita sentimentale con due matrimoni e tante figlie.
Certo i 74 minuti della durata del documentario non rendono giustizia alla complessità del suo pensiero e all'importanza del suo magistero all'interno di una cultura postrisorgimentale che si andava affacciando alle nuove teorie del decadentismo, dello spiritualismo e del marxismo (e qui veine ricordato un icastico saggio stroncatura del suo antifascismo “da salotto” ad opera di Palmiro Togliatti che peraltro sembra più un rimarcare i rispettivi territori ideologici, vista anche la numerosa presenza di intellettuali crociani all'interno del Partito Comunista).
Avati mescola il documento alla finzione, l'informazione-testimonianza alla reinvenzione drammatica (e questo a molti non piace), ricamando con affettuosa eleganza il racconto di un sereno addio alla vita, tra voce fuori campo, musica classica, decorosa mobilia marron scuro alto borghese e luminose dissolvenze. Anzi, lo immaginiamo quasi commuoversi ricostruendo l'attimo fatale, mentre il letterato legge una poesia del Petrarca, reclina il capo e si spegne....”Si è addormentato ma non si sveglia” comunica una delle figlie in lacrime al resto della casa e il documentario si chiude riportando i solenni funerali di un formidabile uomo di pensiero e cultura, forse più amante dello studio appartato che non di assunzioni pubbliche (che pur ci furono e tante) di impegno e responsabilità.