C’è una scena, circa a metà di Le allettanti promesse, che descrive perfettamente l’intero film e quel senso di “diverso favore” riservato all’ospite che esso prova a mettere in scena: mentre un coro canta un tradizionale canto di montagna, la parabola per l’Internet veloce viene innalzata e, con un movimento quasi di ascensione divina, la vediamo ergersi verso il cielo, mentre altrove, un gruppo di immigrati gioca a cricket in assoluta solitudine.
Sono queste due forme, distinte e distanti, di accoglienza, che il lungometraggio di Chiara Campara e Lorenzo Faggi, visto al 66esimo Trento Film Festival e prossimo all’uscita nelle sale grazie a Lab 80 Film.
Centrale è la comunità di 700 abitanti – per lo più di mezza età e anziani – di Esino Lario, piccolo paese a 900 metri di altitudine, in provincia di Lecco, rappresentativo di molte realtà della provincia italiana: i giovani sono fuggiti altrove, a cercare lavoro e a cercare fortuna, mentre chi è rimasto – chi è lì praticamente da sempre, da generazioni e generazioni – arranca nel tempo ancorato a un passato/presente sempre uguale. A Esino Lario si lavora la terra, si accudiscono gli animali, si costruiscono case: il mestiere è necessariamente fatica, sudore e calli sulle mani. C’è un bar e c’è un negozio ed è lì che si va per “spettegolare”, per raccontarsi i fatti del vicinato, mentre gli eventi sociali sono tutti legati a momenti del calendario liturgico – come la processione – o alle commemorazioni militari – la festa degli alpini in chiusura del film -.
Ma cosa accade, quando un piccolo paese tradizionale e tradizionalista, con i santini appesi in casa e le bambole di ceramica sui letti dal corredo matrimoniale immacolato, viene scelto per ospitare il raduno internazionale dei volontari di Wikipedia? È l’incontro di due mondi opposti e forse entrambi incapaci di stare concretamente nel proprio tempo: da un lato le famiglie ospitanti, così lontane dalla realtà quotidiana fatta anche di web e di connessione, dall’altro quelli che un agricoltore definirà “gli alieni coi capelli lunghi e la barba da becco”, i perennemente connessi, incapaci di interagire col contesto sociale e naturale che li circonda.
A fare uno sforzo in direzione di un incontro tra i due saranno quasi solo le donne del paese, certamente più per dovere di buon ospite che per reale interesse nell’altro: saranno loro a preparare le stanze, ad accogliere questi stranieri con le loro “assurde” culture nelle proprie case, a imparare quelle frasi in inglese necessarie per una comunicazione di base. Eppure mai ci sarà un reale incontro, mai uno scambio di pensiero, di tradizioni, di visioni del mondo, mai un reale passo di una realtà in direzione dell’altra. Il raduno di Wikipedia è un evento di una settimana, una parentesi che consente qualche miglioria strutturale al paese, ma che non lascerà traccia nella sua storia personale o nel suo futuro. Allo stesso modo, Esino Lario sarà ben presto solo un paesaggio nello sfondo di qualche selfie scattato per noia dai wikipediani.
Ma se nei loro confronti questa piccola comunità lombarda rivela la volontà di mostrarsi accogliente, di “far sentire a casa” chi arriva, perché, in qualche modo, considerato “alla pari”, ben diverso è il trattamento riservato agli immigrati. Stipati in un hotel nel mezzo del paese, questi vengono completamente ignorati e anche chi, come il pakistano di cui più si riesce a seguire la vicenda, si mostra zelante e attivo per entrare a far parte della comunità, per stringere amicizie, in fondo resta sempre ai margini della pista da ballo ad osservare.
È una distinzione tra ospite di serie A e ospite di serie B che il film accenna, fa intuire, ma non trova la forza di rappresentare nettamente, lasciandola sospesa e fumosa, sullo sfondo, come quelle promesse del titolo stesso: quali sono le allettanti promesse? La possibilità di aprirsi al presente e al futuro, grazie a Internet e alla tecnologia, almeno per le generazioni più giovani (rappresentate dal bambino che, dopo aver assistito alla stampa in 3d, indossa il cappello da alpino del padre)? O sono quelle tradite di chi ha viaggiato in condizioni pericolose fino in Italia, con la convinzione di trovare di più, per poi vedersi costretto tra i monti, in una comunità che nulla offre e nulla accetta di mettere in gioco?
Pone interrogativi, più che dare risposte, Le allettanti promesse, e lo fa, tutto sommato, con un tono leggero, col sorriso di chi – è impossibile non percepirlo – in fondo a questa comunità, con tutti i suoi difetti e i suoi problemi, filmando, ha finito anche un po’ per affezionarsi.