Indossiamo il casco di realtà virtuale e ci troviamo in una palestra scolastica abbandonata, la luce lentamente delinea l’architettura del luogo, a terra spartiti consunti dal tempo e vecchi palloni da basket. Lo spazio è disabitato ma si sente in lontananza un vociare di bambini. I palloni incominciano a muoversi e alle pareti compaiono silhouette e ombre di scolari. Improvvisamente capiamo di essere sul piccolo palco della palestra e accanto a noi appare uno studente, composto da pezzi di vecchie bambole. Nella platea fa il suo ingresso l’insegnante, anch’essa non è che un assemblage di pupazzi e, muovendosi sopra un proiettore per lucidi, si posiziona al centro della sala, alza le mani e dirige l’alunno in un recital canoro. La campanella suona, il sogno svanisce e con esso anche l’immagine in cui siamo immersi.
Questa la breve storia di fantasmi raccontata da Gymnasia (2019), un corto immersivo diretto da Chris Lavis e Maciek Szczerbowski (Clyde Henry Productions) e prodotto da Felix and Paul Studios, tra le principali case di produzione di esperienze in VR. Il corto, che incrocia riprese video a 360°, CGI e puppet animation, trasporta l’utente in un sogno dai toni cupi. L’esperienza non segue una precisa struttura narrativa ma restituisce piuttosto un inquietante paesaggio che evidenza le potenzialità della VR anche in associazione a tecniche squisitamente analogiche come la stop motion. Con Gymnasia la realtà virtuale torna infatti a confermare la sua continuità con il medium cinematografico, in questo caso riprendendo la tradizione della puppet animation e aumentandone, alla luce della sua caratteristica immersività e coinvolgimento spettatoriale, la natura perturbante.
L’esperienza è in tre gradi di libertà (3DoF): al visitatore non è dato alcun corpo, e al contempo gli è impedito ogni movimento nel mondo virtuale. Il processo di avatarizzazione, sempre rilevante per comprendere le strategie registiche della realtà virtuale, lascia qui l’utente disconnesso dalla propria fisicità, amplificando quella sensazione onirica di straniamento che la VR spesso produce quando cela il nostro corpo alla vista e che, in questo caso, ci fa chiedere se siamo forse anche noi parte di quelle entità fantasmatiche che abitano il paesaggio abbandonato che ci circonda. Al posto della nostra corporeità (tanto reale quanto virtuale), Gymnasia ci mostra un’ulteriore entità dell’ambiente fantasmagorico: guardando in basso il fisico è sostituito da una testa di bambola che ci osserva, anch’essa animata in stop motion, e che confonde ulteriormente i piani di realtà amplificando il caleidoscopio di sguardi che caratterizza il corto. L’aspetto sonoro, centrale in ogni prodotto immersivo, è qui ulteriormente enfatizzato dalla musica composta da Patrick Watson che riesce a cogliere l’intreccio fra la dimensione orrorifica e quella fanciullesca, al centro di tutta l’esperienza VR.
Gymnasia è innanzitutto un prodotto di alta qualità tecnica: il set, così come i pupazzi animati, sono costruiti a mano e integrati solo successivamente a elementi in CGI. Ed è proprio la loro natura materica a rendere ancora più efficace la sensazione di presenza già normalmente indotta dalla VR. I tessuti, le texture e le superfici dei soggetti animati in stop motion vivono nell’immagine ambientale un’inedita potenza che ci porta a percepire durante tutta l’esperienza un’accentuata inquietudine.
La storia della puppet animation e dello stop motion è antica quanto il cinema. Fin dalle sue origini esso sfrutta la sua costituzione tecnica per infondere vita, frame dopo frame, a figure, soggetti e oggetti inanimati. In Gymnasia la realtà virtuale torna a interrogare il cinema delle origini, nella sua natura di dispositivo ottico dalle caratteristiche quasi magiche, e che porta, nella sua riedizione virtuale, a inediti gradi di coinvolgimento visivo e corporeo. L’associazione tra il perturbante e l’animazione presenta infatti un forte connotato psicoanalitico che ha a che fare con quella tensione ancestrale prodotta dall’animarsi di oggetti antropomorfi e dalla resa non più familiare di entità addomesticate come una bambola o un pupazzo. Un’associazione ampiamente sfruttata dal cinema, dalle prime sperimentazioni di Georges Méliès e Segundo de Chomón fino alla sua riemersione nella cultura mainstream con le pellicole, ad esempio, di Tim Burton. La VR in Gymnasia recupera questo filone tecnico e ne enfatizza il funzionamento, confermando da una parte la sua continuità con le forme filmiche e, dall’altra, la sua specificità mediale.
Trovarsi, all’interno dell’immagine, in ravvicinato contatto con oggetti concreti, animati manualmente, e condividerne lo spazio fisico, crea una forma di perturbante virtuale che ancora deve essere esplorato ma che già prelude alle ramificazioni che il cinema VR potrà avere nel prossimo futuro.
Gymnasia (6:00’; 3DoF) è stato prodotto da Felix and Paul Studio e dal National Film Board of Canada e diretto da Chris Lavis e Maciek Szczerbowski (Clyde Henry Productions). È compatibile con Oculus Rift, Go e Quest 2 ed è scaricabile gratuitamente dalla libreria Oculus e dall’app di Felix and Paul Studio.