James Franco, in doppio petto impeccabile, arriva in conferenza stampa con l’aria di chi non ha dormito molto e forse non solo per colpa del jet lag. Qualcuno in effetti gli chiede come fa a trovare il tempo per dormire, visto che solo nell’ultimo anno ha portato tre film come regista a tre dei maggiori festival internazionali (Berlino, Cannes e Venezia) e ha recitato in ben sette opere come attore. Lui però non risponde, preferisce fingere di essersi addormentato. Risate.
Di Child of God invece parla con trasporto, pur senza perdere l’indolenza da "macho assonnato" che lo contraddistingue. A chi gli chiede cosa l’abbia interessato del romanzo di Cormack McCarthy da cui il film è tratto, risponde che gli piace molto indagare il senso di solitudine nell’uomo: «Ultimamente mi sono accorto come i miei film parlino tutti dell’isolamento dell’individuo, non so esattamente perché, succede e basta, è una cosa che da qualche tempo mi appartiene». E aggiunge: «Nel libro di McCarthy ho trovato molte cose che mi hanno entusiasmato. Appena finito di leggerlo ho pensato subito che dovevo farci qualcosa con quel libro, ci ho messo sette anni per ottenere i diritti ma poi alla fine ce l’ho fatta e ho realizzato questo film. Mi piaceva molto l’idea di raccontare la vita di un personaggio che, una volta buttato fuori dalla società, perse completamente le norme del vivere civile, non riesce più a farvi ritorno».
Ci tiene a precisare quali sono i modelli a cui si è ispirato: «Sono tanti i film che mi hanno influenzato dal punto di vista estetico. In questo lavoro avevo in mente il cinema dei fratelli Dardenne e di Gus van Sant. Per quanto riguarda lo stile del racconto invece ho pensato a Taxi Driver: proprio come fa Scorsese nel suo film, ho cercato di rappresentare una specie di pazzo misantropo stando dalla sua parte e provando a darne un’immagine affascinante. In fondo credo che l’essenza del film non sia quella del racconto di una violenza, piuttosto è lo studio di un personaggio complesso».
Anche Scott Haze, interprete principale del film, che per prepararsi al ruolo è andato a vivere tre mesi da solo in mezzo alle foreste del West Virginia, ribadisce come Taxi Driver l’abbia influenzato per la preparazione del ruolo: «Il personaggio di De Niro mi ha ispirato molto, ma ho pensato anche al Joker di Heath Ledger e, seguendo un suggerimento di James, anche allo Charlot chapliniano».
«Nella costruzione narrativa – continua Franco – ho pensato molto a La febbre dell’oro. Per esempio, quando il mio protagonista sta nella capanna in mezzo al bosco mi veniva in mente Charlot nell’inverno dell’Alaska: un personaggio solo e sperduto sul quale sappiamo poco e che scopriamo sempre di più in ogni nuova scena».