Nel finale di uno dei titoli più deteriori del concorso di Venezia 70, l’immorale Miss Violence, una porta si chiude. A suggerire, implicitamente, che gli orrori e la violenza di cui le protagoniste si sono liberate continueranno, pur sotto un’altra forma.
Fortunatamente, pur nel contesto di una selezione che di certo non brilla per allegria e ottimismo, quella proposta dal greco Avranas è un’eccezione (significativa): molti dei titoli più o meno interessanti del festival, infatti, le porte non le chiudono. Anzi, le lasciano belle aperte, spalancate; così come aperti e spalancati sono i loro (non) finali, che lasciano di fronte a un percorso ancora tutto da compiere tanto i protagonisti quanto gli spettatori.
Lo fa Kelly Reichardt in Night Moves e lo fa James Franco in Child of God. Lo fa David Gordon Green in Joe e lo fa Merzak Allouache in Les Terrasses. Lo fanno perfino, a modo loro, Philip Gröning ne La moglie del poliziotto e Xavier Dolan in Tom à la ferme. Film che ci lasciano di fronte a protagonisti alle soglie di un nuovo inizio, incerto e vagamente spaventoso, con gabbie che finalmente si aprono, con fughe verso una qualsiasi forma di domani, con sguardi indagatori e diretti in macchina che chiamano in causa lo spettatore, instaurando con lui una dialettica intensa e difficoltosa.
Il percorso è chiaro e lineare: alla crisi che pervade ogni ambito della nostra vita (pratica, sociale, economica, interiore) si prova a reagire. Si reagisce, finalmente. Con forme magari scomposte, inadatte, violente, sbagliate, ma si reagisce e si arriva sulla soglia di un cambiamento che, oggi, equivale all’ignoto. Di fronte a questo passaggio fondamentale, c’è un solo elemento che il cinema di Venezia indica come risolutorio: quello del recupero della responsabilità.
Quella responsabilità che il Jesse Eisenberg di Night Moves e Donald Rumsfeld rifuggono; che le protagoniste di Via Castellana Bandiera ignorano portando l’umanità giù nel baratro; che personaggi come il Joe di Cage o l’astronauta Clooney in Gravity accettano come sacrificio; che il vecchio misterioso di Gröning indaga in noi; che il Tom Hardy di Locke persegue invece con commovente determinazione.
Lui, con la sua auto, si prende sulle spalle il carico di macerie che lui stesso (simbolo però di tutti noi) ha contribuito a creare, e viaggia verso la costruzione di nuove fondamente e la nascita di una nuova vita. Quello che lo aspetta (che ci aspetta), non lo sappiamo: ma un percorso nuovo è comunque stato imboccato.