“In principio era la Parola e la Parola era verso Dio, e Dio era la Parola”
In che senso il prologo al vangelo di Giovanni c'entra con l'inizio di questa 71 esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica? C'entra, c'entra. Infatti il prologo continua così: “Egli era la vita/e la vita era luce per gli uomini./Quella luce risplende nelle tenebre/e le tenebre non l'hanno vinta.”
Ecco dunque il tema che ci è sembrato emergere in questi primi giorni di festival.
L'umanità è ormai inesorabilmente perduta. Confusi i giovani privi di guida, cultura, genio o semplicemente voglia di vivere (The Smell of Us di Larry Clark o Before I disappear di Shawn Christensen) che temono l'amore, cercano di riempirsi la vita di oggetti e odiano il sesso, o lo fanno solo per denaro.
Disorientati quelli di mezz'età, in bilico tra la ricerca dell'amore vero e l'ottenimento di una compagnia qualsiasi che ci aiuti a superare un'invincibile solitudine, come in 3 Coeurs di Benoit Jacquot, o che ancora mescolano i normali problemi di coppia ad una crisi che distrugge anche quel welfare che sembrava un obiettivo raggiunto una volta per tutte (v. l'ottimo Terre battue di Stephane Demoustier, presentato alla Settimana della Critica).
E non parliamo degli anziani: anaffettivi cronici (Manglehorn di David Gordon Green), malati di inguaribile egocentrismo (The Humbling di Barry Levinson, credibilmente tratto da Philip Roth) o addirittura in caduta (di regime) libera come The President di Moshen Makhmalbaf.
Significativamente son proprio questi ultimi tuttavia ad essere tra i più fortunati. Ma solo se riescono a decidere del loro destino ultimo, non lasciandosi maneggiare come burattini, almeno sul loro letto di morte, e risparmiando ai loro cari un'agonia del tutto inutile (v. l'ottimo Mita Tova-The Farewell Party di Sharon Maymon e Tal Granit).
Che aggiungere allora ad un panorama così sconsolante? Nulla. Forse che ci ricorda, ribadendolo, proprio l'esordio giovanneo. La vita è inconoscibile, i nostri destini si burlano di noi appena ce ne sentiamo padroni, la sola via d'uscita, debole, fallace, ma anche potentemente unica, sembra stare nella “rappresentazione”. Nella riproduzione. Nella “creazione” di un'immagine.
La luce, è l'unica che può salvarci. Magari la luce che impressiona un sensore digitale piuttosto che una vecchia pellicola, o semplicemente la nostra retina all'alba. Solo la luce può provare a combattere la tenebra. Una tenebra sempre pronta a inghiottirci, e che non cessa di attirarci come il baratro de Il genio della perversione, il protagonista del racconto-saggio di Edgar Allan Poe, che certamente occhieggia nell'inquietante rampa dell'edificio dal quale sto scrivendo.