L’ultimo cinema di Abel Ferrara si è spesso presentato sotto forma di autoanalisi per immagini: Tommaso e Siberia sono dei rigurgiti di ossessioni, incubi e visioni che compongono un monologo interiore attraverso cui il regista newyorkese ha provato disperatamente a raccontare sé stesso. Con Sportin’ Life, presentato fuori concorso alla 77ª Mostra del Cinema di Venezia, Ferrara abbandona il filtro della narrazione per mettere in scena in maniera ancor più decisa e diretta la propria vita e il sul proprio sguardo sul mondo.
Inizialmente il progetto sarebbe dovuto essere un’esplorazione del processo creativo di Ferrara stesso, una riflessione sul concetto di regia, sull’impossibilità di discernere la propria intimità dal percorso artistico; sull’importanza della collaborazione e della condivisione di idee sul set cinematografico e sul palco durante un concerto. Sportin’ Life nasce durante le presentazioni berlinesi di Siberia, tra una conferenza e un’intervista, come un documentario per raccontare come si (o meglio, come Abel Ferrara) realizza un documentario, un film o un concerto. Da subito viene sottolineata l’importanza dell’improvvisazione, del saper cogliere ogni stimolo e ogni intuizione per riuscire a comporre un’opera il più sincera ed efficace possibile. Probabilmente nulla come una pandemia globale avrebbe potuto dirottare con tale forza l’idea iniziale di un progetto come questo.
Nel giro di qualche settimana Sportin’ Life si è quindi trasformato in un’incursione nella quotidianità di un mondo in quarantena per provare a comprenderne qualcosa di più attraverso l’arte, in un gioco di vasi comunicanti per cui realtà e finzione si alternano, si scambiano e si sovrappongono continuamente. Un’opera che porta avanti un’idea di cinema in divenire, capace di lasciarsi trascinare dagli eventi e dai pensieri.
Sportin’ Life riporta quindi Abel Ferrara alle origini del processo creativo, a scavare nel proprio passato per provare a comprendere in qualche modo un presente universalmente illeggibile. Ne viene fuori un flusso di immagini, di associazioni visive e mentali a volte spiazzante e altre volte incomprensibile, ma a suo modo affascinante.
Nel tentativo di leggere la realtà attraverso il suo personalissimo sguardo, Ferrara riconduce a sé – alla sua arte e alla sua vita privata – ogni elemento messo in scena con una carica talmente egoriferita da rasentare il complottismo. Eppure, forse proprio grazie a quest’assenza di filtri, di strutture narrative e di schemi mentali preesistenti, che Sportin’ Life riesce a trasmettere un’energia a tratti travolgente, una voglia e un bisogno di produrre cinema talmente viscerale che difficilmente può lasciare indifferenti. A patto, ovviamente, di lasciarsi trasportare.