Che con Aggro Dr1ft Harmony Korine »non volesse fare esattamente un film» è piuttosto evidente anche guardandone un solo fotogramma. D’altronde, il cinema del cineasta americano è sempre stato orgogliosamente inclassificabile, capace di muoversi fuori dai canoni sia della produzione d’autore sia di quella mainstream e con un’idea di regia anarchica e un’estetica ai margini del rappresentabile, negli anni concentrata a raccontare soprattutto esistenze e avventura ai margini. Da sempre, del resto, Korine flirta con il linguaggio della video arte, del videoclip o, come in questo caso, dell’installazione artistica e del videogioco.
In Aggro Dr1ft ogni cosa è distorta e illeggibile, ma al contempo limpida e lineare. Attraverso l’esile traccia narrativa che il film prova a mantenere, il film segue la storia di un sicario che si lancia alla ricerca spietata del suo prossimo obiettivo. Korine racconta le traiettorie di corpi senza volto che si muovono negli spazi indefiniti di una Miami allucinata. Le lenti termiche scelte per dare vita a questo mondo magmatico restituiscono allo spettatore la sensazione di trovarsi di fronte a una realtà fatta di contrasti e contraddizioni. Come accadeva in Spring Breakers, dove l’immaginario delle feste studentesche veniva ribaltato di senso attraverso la ripetizione ossessiva delle stesse situazioni narrative, anche in Aggro Dr1ft la reiterazione di frasi, immagini e rituali diventa un elemento centrale, che in questo caso svuota di valore il peso della vita e della morte.
Invertendo cromaticamente il mondo rappresentato, Korine filma moltitudini di fantasmi senza forma come pure emanazioni di calore che si inseguono per spegnersi a vicenda e scomparire nell’abisso dell’irrappresentabile. Corpi umani con innesti digitali che nel loro insieme compongono una dimensione aliena e indefinita, situata sul confine tra reale e virtuale.
In Aggro Dr1ft il digitale è talmente compenetrato nel profondo della materia che la realtà è diventata qualcosa di simile a un videogioco senza giocatori. Sono immagini di morte – dell’azione, della verità, dell’esistenza – che sfidano costantemente lo spettatore a sforzarsi di intravedere la vita. E in questo senso Korine confeziona una visione stimolante e ipnotica della contemporaneità che, nel pieno dell’era della post-verità, non può che essere sfuggente, estrema e (apparentemente) illeggibile.