Sei anni dopo la vittoria del Pardo d’oro a Locarno con A Land Imagined (2018), Yeo Siew Hua torna con il film che aveva in mente da più di dieci anni (ha iniziato a lavorarci nel 2012) ma che per ragioni produttive fino a oggi non era riuscito a realizzare. Stranger Eyes è ambientato a Singapore e apparentemente racconta la storia di Junyang e Peiying, una giovane coppia che tenta in tutti i modi di ritrovare la figlia di poco più di un anno scomparsa improvvisamente in un parco pubblico sotto casa durante un pomeriggio di gioco con il padre. Diciamo “apparentemente” perché in realtà la sparizione/ricerca della piccola Bo è soltanto un pretesto per raccontare un’altra storia: quella della rete di sorveglianza che attraverso le camere a circuito chiuso impone – a Singapore come in ogni altra parte del mondo – una vita estremamente sorvegliata. I protagonisti infatti, mentre portano avanti le ricerche affiancati dalla polizia che scandaglia i video delle Cctv, iniziano a ricevere dei dvd su cui sono impresse le immagini della loro vita durante le attività quotidiane dentro e fuori casa. A spiarli è un loro vicino (interpretato da Lee Kang-sheng, attore feticcio di Tsai Ming-liang), impiegato in un market della zona, che ha un’ossessione per le vite degli altri e il controllo tramite le telecamere a circuito chiuso. E anche se con la sparizione della piccola Bo non ha nulla a che fare, la sua presenza e i suoi gesti sconvolgono le vite Junyang e Peiying.
È un film completamente libero Stranger Eyes. Nel senso che va dove vuole e non ha una trama definita, un quadro narrativo chiuso. Sembra raccontare una cosa e poi improvvisamente virare e spostarsi da un’altra parte e poi da un’altra ancora. Forse per via della lavorazione lunga o per il fatto che mentre il regista stava ultimando la produzione del film è arrivata la pandemia che ha sconvolto i suoi piani, sta di fatto che questa imprevedibilità e totale libertà di sguardo rendono il film qualcosa di diverso da quasi tutto quello che si vede al cinema oggi. Il peccato è che a una forma tanto originale e affascinante, che mostra il potenziale di un autore giovane (Yeo ha trentanove anni) e assolutamente promettente, non si accompagni una altrettanto solida scrittura. Il tema della videosorveglianza infatti, benché sia certamente un fenomeno in grande crescita dopo la pandemia, sembra appartenere a un ragionamento sul contemporaneo se non sorpassato quantomeno già ampiamente affrontato e digerito sin dai tempi della rivoluzione digitale (da Caché di Haneke, cui il film sembra ispirarsi, in avanti).
Ma il punto naturalmente non è legittimità (o la necessità) o meno di fare un film come Stranger Eyes nel 2024, quanto la sensazione che un’opera come questa non abbia molto da aggiungere al concetto, piuttosto risaputo, dell’esistenza di una sorta di rete panottica globale, del fatto che sia venuto meno il confine fra pubblico e privato o della ridefinizione del concetto di libertà individuale. Tutti temi che Yeo ribadisce dall’inizio alla fine.
Insomma una costruzione tanto complessa, articolata e intelligente come quella di Stranger Eyes meritava certamente un racconto meno semplice e risaputo. Ma siamo certi che Yeo Siew Hua sia un regista di cui sentiremo parlare ancora per molto tempo.