Baby Invasion è un nuovo e ultra-realistico FPS multiplayer da giocare nel mondo “reale”, che coinvolge un gruppo di mercenari incaricati di entrare nelle ville di alcuni uomini ricchi e dei potenti e di far piazza pulita prima che scada il tempo. Al tempo stesso è anche un film, un’installazione di videoarte, un sogno, una live su Twitch, la vita vera e il contrario di tutte queste cose.
Presentato fuori concorso come proiezione di mezzanotte alla Mostra di Venezia, il nuovo lavoro di Harmony Korine prosegue il discorso sulla rappresentazione post-apocalittica, post-cinema e post-immagine iniziato un anno fa con Aggro Dr1ft. E se quel film sfruttava i cromatismi distorti delle lenti termiche per raccontare le traiettorie incerte di corpi pulsanti vita, ora Baby Invasion si concentra sulla percezione degli ambienti reali, contaminati in maniera irreversibile da innesti digitali.
Il punto di partenza della visione di Korine, evidente fin dal titolo, è l’home invasion: quello che è forse il genere cinematografico più perturbante in assoluto per la sua capacità intrinseca di fare leva sulla familiarità degli spazi, viene in questo caso disinnescato e svuotato da ogni forza emotiva grazie a un’invasione di segni, effetti e stimoli che bombardano lo sguardo dello spettatore per assuefarlo e indurlo a un’esperienza cinematografica ipnotica e anestetizzata allo stesso tempo.
In Baby Invasion non sono quindi gli spazi abitativi a essere presi d’assalto, ma il nostro spazio visivo e la nostra percezione della realtà. Korine mette in scena un immaginario che trascende la fisicità dei corpi e il loro dolore per lasciare spazio a uno sguardo sul mondo in mutazione costante; un mondo che sembra generarsi sul momento senza alcuna regola o logica.
Mentre le casse pompano le sonorità martellanti firmate da Burial, i protagonisti del film seguono in maniera acritica le istruzioni di una voce fuori campo che ripete ordini sfuggenti e frasi sconnesse, quasi fosse la variante hi-tech di un rito sciamanico privo di senso. Sono residui di persone trasformate in avatar digitali da una realtà alterata da filtri, pop up, ricompense e cut scenes in computer grafica.
Nell’universo di Baby Invasion, anche le droghe, uno dei punti fermi della filmografia del regista, si sono digitalizzate; su schermo le sostanze sintetiche abbondano in ogni dove, ma vengono snobbate a favore di pillole in pixel art che distorcono ulteriormente il nostro sguardo su un mondo di cui abbiamo ormai perso il controllo. In questo la visione di Korine si dimostra nuovamente una riflessione lucidissima sull’immagine contemporanea nel senso più ampio possibile, che prova ancora una volta a ragionare sugli ultimi possibili fotogrammi dell’esistenza, prima che qualcuno stacchi del tutto la spina.