“Ex tennista professionista che vanta un ottavo di finale al Foro Italico, disponibile per lezioni. Prezzi contenuti”. Con questo annuncio Raul “el gato” Gatti (“come se la gode la vita Raul Gatti non se la gode nessuno!”) si presenta e viene ingaggiato dall'ossessivo e ossessionato padre di Felice Milella, un ragazzino anche dotato, che vorrebbe fare di lui il campione che sogna e intravede nella veemenza con cui colpisce la pallina. Insieme percorreranno l'Italia dei circuiti nazionali di categoria. Il problema è che Felice gioca solo a fondocampo come il padre maniacalmente lo ha obbligato a fare e Raul tiene lontani i crolli nervosi solo con il litio. Alla lunga, di sconfitta in sconfitta (o no?), di litigata in litigata, di rivelazione in rivelazione, in una assolata Odissea per la penisola, la strana coppia dopo essersi annusata, si legherà in un sentimento forte.
Dopo lo splendido L'ultima notte di Amore, 2023, uno dei più bei gangster/noir all'italiana e non solo di queste ultime stagioni, Andrea Di Stefano torna a dirigere Pierfrancesco Favino in una commedia all'italiana (volendo si potrebbe anche definirla così), ambientata al tempo in cui i telefoni andavano a gettone e gli eroi erano Lendl e (prima) Vilas, soprattutto dove il drammatico e l'amaro sono sempre lì dietro l'angolo, a ogni colpo.
Raul è uno che possedeva solo il talento ma dall'anima fragile, come scopriremo lungo la visione. Questa è l'ultima chance, probabilmente per rimediare a una ininterrotta serie di sbagli e scelte alla fine autodistruttive (in compenso rimane quell'inveterato piacione rubacuori, brillante e superficiale, che è sempre stato). Nonostante tutto inquieto e insicuro, come gli hanno consigliato i dottori cerca di tranquillità in un training autogeno in cui, mentre si stringe tra due dita il pomo d'Adamo, si ripete “la vita mi sorride, la vita mi sorride”.
Invece Felice (cui Tiziano Menichelli, al secondo film dopo Denti da squalo, dona una partecipe espressività, ora caparbia ora di disarmante tenerezza) appare un tredicenne sin troppo compresso dalle aspettative di papà, non ancora del tutto sicuro di quel che vuol fare...“Ribelliamoci, per favore” quasi lo implora l'allenatore che vorrebbe davvero istradarlo per il meglio.
La sagacia della regia sta nel dosare il comico e il serio persino nella stessa sequenza e tra una citazione di sguincio di L'altro uomo (di Hitchcock), con il pubblico che ruota la testa contemporaneamente seguendo gli scambi, e tanta rapinosa musica pop rock di quelle estati non più beat ma non ancora rap, senza esagerare tiene una piccola grande lezione sul come affrontare la vita e le sue repliche a rete.
Forse “gli inserti” quasi a clip, con l'azione che si fa trasportare da brani d'epoca per giocare con la loro e anche con la nostra memoria sentimental-empatica sono un po' troppi, ma il divertimento con cui partecipiamo all'evoluzione di questa imbarazzata relazione (“sei una pippa!” “Ti riduco la paghetta”) non svanisce mai, a partire dalla prima frase di apertura che dopo il classico “il film è opera di fantasia e non esiste alcun riferimento a persone e fatti realmente accaduti” chiosa con un malizioso e spiritoso “Capito, papà?”.