Concorso

Elisa di Leonardo Di Costanzo

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Dare voce a chi agisce la violenza. Provare, attraverso il dialogo, a esplorare le ragioni profonde dei propri atti efferati. A partire da questo orientamento della criminologia (e prendendo ispirazione dal libro di Ceretti e Natoli, Io volevo ucciderla), Elisa di Leonardo Di Costanzo mostra il percorso interiore di una donna condannata per aver ucciso la sorella e averne bruciato il corpo. Elisa (Barbara Ronchi), rinchiusa in un carcere in Svizzera, accetta di incontrare il professor Alaoui (Roschdy Zem), un criminologo che le offre la possibilità di parlare e di avviare un percorso di recupero della memoria delle proprie azioni. Elisa non ricorda nulla di ciò che ha fatto ed è come adagiata sulla propria condizione di colpevole. Ma è proprio la dimensione oscura della violenza il nucleo da affrontare per poter guardare avanti.

Come in Ariaferma, l’attenzione di Di Costanzo alla dimensione carceraria è tesa tra due poli: la relazione tra i personaggi, e quella con lo spazio che li contiene. In questo caso si tratta di uno spazio di detenzione particolare, aperto, perché Elisa sconta la sua pena in una struttura riabilitativa che le offre una discreta autonomia di movimento, una piccola casa di legno in cui vivere, un lavoro nel bar e la possibilità di incontrare il padre e partecipare alle sedute con Alaoui. Elisa sembra libera, ma non lo è. Non lo è fisicamente e, soprattutto, non lo è mentalmente. È una figura quasi fantasmatica, ha occhi grandi ma indecifrabili, compie gesti precisi ma sembra sempre sospesa, imprigionata in sé stessa. La regia è calibratissima, quasi algida nel delineare una perfetta dialettica tra particolare e generale, tra spazi e sguardi, tra prossemica dei corpi e tempi dei dialoghi. La fotografia di Luca Bigazzi, fedele collaboratore di Di Costanzo dai tempi dell’Intervallo, individua con precisione la temperatura livida di questo luogo vagamente irreale e scruta da vicino il volto di Barbara Ronchi preservandone l’ambiguità e il mistero.

A rendere ulteriormente aliena e imperscrutabile Elisa è la lingua. Il film infatti è girato in gran parte in francese, e nei dialoghi con Alaoui l’eloquio un po’ esitante di Barbara Ronchi contribuisce a segnare la distanza, la difficoltà e le insidie del mettere in parola il passato, del provare a ripensare a ciò che è accaduto. La scrittura di Di Costanzo, Bruno Oliviero e Valia Santella – un sodalizio ormai consolidato – costruisce ancora una volta dinamiche sottili e complesse, drammaturgie profonde in cui gli attori trovano la concretezza delle situazioni in cui agiscono e il senso delle parole che pronunciano. Se dunque il film muove dal presupposto di dare una voce alla violenza, di provare a vedere se e come sia possibile una trasformazione anche per chi sembra inchiodato nella colpa, è l’alternanza tra parole, silenzi e sguardi a scandire il tempo del film. Elisa è un personaggio che si rivela a poco a poco e mai fino in fondo, perché quello di Di Costanzo è un film tanto preciso e tagliente quanto delicato e pudico, che non cerca di sciogliere un plot o di redimere un personaggio. Quello che conta è usare con grande precisione e misura la grammatica del cinema per mostrare un processo nel suo farsi, per indagare le relazioni tra esseri umani nei chiaroscuri e nelle ambiguità, nei piccoli ma fondamentali passi che permettono a Elisa di incominciare a guardare al di là della propria colpa.