Colto esteta, raffinato intellettuale, esperto d’arte: Alain Resnais è stato tutto questo, oltre che uno dei più importanti autori della storia del cinema.
Diversi anni prima di firmare il suo esordio nel lungometraggio di finzione, Hiroshima mon amour, presentato al Festival di Cannes del 1959 (in cartellone c’era anche I 400 colpi di François Truffaut), il regista si fece le ossa nel mondo dei documentari, in particolare quelli legati all’universo della pittura.
Nel 1948, a ventisei anni, firma Van Gogh, sorta di biografia illustrata attraverso i quadri. È un’analisi che esplora i dettagli delle opere del grande pittore olandese, cercando di svelare il mistero che si annida dentro la sua persona. Nonostante duri soltanto 18 minuti, Resnais non ha fretta: cerca pazientemente di sviscerare il conflitto interiore di un uomo e di un artista che, nel suo lavoro, parlava anche della propria condizione tormentata. Da un certo punto di vista, è già un film sul tempo, caratteristica che ha contraddistinto le successive pellicole del maestro francese.
Un paio d’anni dopo si dedica a Paul Gauguin, in un progetto simile e diverso allo stesso tempo. L’impostazione è la medesima ma, in questo caso, Resnais sembra limitarsi a illustrare i dipinti, raccontando parallelamente le varie fasi, artistiche ed esistenziali, della vita del pittore francese. Non c’è una reale urgenza di cercare qualcosa oltre la superficie della tela e il film fila liscio, lasciando allo spettatore meno dell’opera dedicata all’olandese.
Nello stesso anno di Gauguin, il 1950, Resnais firma però anche un altro progetto “artistico”, che rappresenta il più alto risultato di questa primissima fase della sua carriera. Guernica, cittadina basca bombardata dall’aviazione tedesca nel 1937, diviene anche il titolo di un documentario dal forte valore sperimentale.
Insieme al misconosciuto Robert Hessens, Resnais passa dalla tragedia all’arte, senza soluzione di continuità: l’attrice Maria Casares recita una poesia di Paul Eluard e, in mezzo a tanti altri riferimenti alti, si evoca il capolavoro di Picasso.
Il montaggio ardito e i toni lirici danno vita alla dolente testimonianza di un massacro, dove il lato documentaristico (reale) si unisce alla rappresentazione pittorica (finzione) per creare un'opera emozionante, tutta giocato su una estenuata eleganza che attraversa con passo lieve il filo della memoria (storica e artistica). È già una composizione proiettata nel tempo del ricordo, così come lo saranno Notte e nebbia (1955), Hiroshima, mon amour (1959) e L’anno scorso a Marienbad (1961).