Proprio come Valéry Rosier in Parasol (presentato anch’esso in concorso due giorni fa sempre qui a Bergamo), di cui Mur sembra essere il fratellino minore, Dariusz Glazer firma un’opera che affronta il tema della ribellione individuale di un giovane nei confronti della propria vita.
Mariusz, infatti, ha preso una decisione drastica: tagliare i ponti con il suo passato allontanandosi dalla casa familiare e da una madre con la quale non ha mai avuto nulla da condividere. La voglia di esplorare orizzonti nuovi, di emanciparsi e di liberarsi del grave giogo delle sue origini lo spinge a fare scelte egoiste ma necessarie. Lo stesso accadeva nel film di Rosier, seppur attraverso narrazioni e stilistiche decisamente diverse.
Mur è infatti sicuramente più cupo e crudo, calato in un contesto e una realtà monocromatici con i quali c’è poco da scherzare e sui quali non è possibile ricamare metafore favolistiche. Il muro del titolo è presente e invadente non solo in maniera invisibile, ostacolando le relazioni che corrono tra i singoli personaggi ma, soprattutto, in modo palpabile, evidente all’interno di ogni singola inquadratura. Glazer è alla continua ricerca di una spaccatura. Che sia uno specchio, un recinto, una finestra o un’ombra poco importa, lo scopo rimane quello di separare (fisicamente prima ancora che emotivamente) le parti in gioco all’interno dell'inquadratura.
Benché a tratti questo possa risultare ridondante ed eccessivamente didascalico, Mur comunque non nasconde una forza cinematografica e una coerenza d’intenti notevoli. Completamente retto sulle spalle del giovane Tomasz Schuchardt, il film trova i momenti più felici e strazianti nei dialoghi (di pochissime parole) tra il protagonista e sua madre (una bravissima Marta Nieradkiewicz), dove il tocco velato del regista, pur concedendo forse qualche indiscrezione di troppo, riesce però a restituire momenti molto profondi e soprattutto sinceri.
Sembra proprio che il cinema contemporaneo europeo (ma anche oltreoceano la tendenza stia iniziando a farsi sentire) sia particolarmente interessato a raccontare storie che abbiano alla base la voglia di riscatto come atto necessario che spesso deve però cedere il passo a una disillusione lacerante; oltre a Parasol e a Mur, vengono in mente per esempio le recenti proiezioni di Berlino di film come United States of Love, La Comune, Inhebbek Hedi. Nonostante l'esigenza crescente di cambiamento forse i tempi non sono ancora maturi, sembra dire il cinema, e i sogni (cinematografici o reali che siano) devono fare i conti con ostacoli ancora insormontabili. Il Mur(o) in questione parla anche di questo.