Come ci si può liberare del dolore, quello della morte del compagno e padre del proprio figlio? E' qualcosa di indicibile che si può esprimere magari solo con i lampi di tristezza che annaspa negli occhi o con gesti improvvisi, inconsulti, rabbiosi e inevitabili. Ed è quello che fa Lola in Amore mio, di Guillaume Gouix, in concorso al Bergamo Film Meeting. Invece di andare al funerale, scappa con il figlio, accompagnata dalla sorella maggiore Margaux, “sua” custode vigile, partecipe e anche motorizzata. Così quando la ferma mentre sta salendo su un camion per un passaggio verso chissà dove e le chiede cosa vuol fare, Lola risponde : “io non voglio pietà. Voglio solo guidare”.
Così inizia il viaggio di due sorelle e un bambino in cerca di esorcizzare una perdita (in efftti il film si apre con “il prima”, ovvero con Lola che balla felice e scatenata mentre Raffaello, il compagno italiano e “tamarro” la riprende col telefonino, in soggettiva). Un on the road breve, fatto di soste improvvise come le azioni di Lola, da un supermercato ove cambiarsi inopinatamente di maglietta a una sosta su un laghetto a far fare il bagno al piccolo, a una notte obbligata in un paesino dopo che la macchina si è impantanata in un campo.
Non succede tanto, se non dialoghi estremamente naturali e tappe a seguire gli impulsi, come un esercizio di esorcismo psicologico ma anche quasi un forzare un nuovo inizio. “Tu lo sai che, a parte essere caldo e dolce e un buon cuoco, Raffaello era un “coglione”, vero? Faceva battute pessime e faceva scherzi orrendi...” Margaux prova a riportare Lola dentro le righe, verso il necessario accomiatarsi psico-spirituale dall'amato, facendola ragionare...ci riuscirà? O forse la strada per il ritorno alla vita passerà invece da una nuova intimità con la sorella e dal saper ascoltare anche i sentimenti del figlio.
Dopo una consistente carriera di attore (tra cui L'immortale, 11 donne a Parigi, A casa nostra, Il mio profilo migliore), Guillaume Gouix debutta, dopo tre corti, nel lungometraggio di finzione. Mostra passione e tecnica “funzionale”, specialmente all'inizio con la cinepresa a mano addosso alle persone, come un reportage affannato, per poi scivolare nelle astuzie di un mestiere già masticato (si noti ad esempio la scena di una serata in un locale di provincia con la musica che da danzereccia e allegra si fa assorta e malinconica ad anticipare l'animo di Lola in uno dei suoi improvvisi incupimenti), anche se fatica a sfuggire a una certa prevedibilità. D'altronde il film, giudiziosamente breve (un'ora e venti), ruota intorno a un tema solo e a pochi personaggi.