Sono più di vent’anni che il cinema francese s’interroga sul tema dei migranti, non solo quelli che affollano le banlieue di Parigi e altre metropoli, ma anche quelli che si ammassano in quel pezzo di terra davanti al mare, a Calais: di là c’è la Gran Bretagna, che tutti, per un motivo o per l’altro, per ricongiungersi ai famigliari o per andare altrove, al nord, vorrebbero raggiungere. Ma il prezzo per il passaggio della Manica, sulle barche, acquattati in un camion o rinchiusi nel baule di un’auto, è troppo alto.
Era notevole Welcome, diretto nel 2009 da Philippe Lioret, sul giovane iracheno che vuole attraversare la Manica a nuoto e l’istruttore Vincent Lindon che lo allena, come il documentario di Sylvain George che lo seguì di poco, Qu’ils reposent en revolte (2010), realizzato in tre anni di documentazione sul campo. La Giungla di Calais, come veniva chiamato l’insediamento più grosso, fu smantellata nel 2016, con lo smistamento, quasi una vera e propria deportazione, di migliaia di migranti. Poi, piano piano, gli esuli sono ritornati, in assembramenti più piccoli, regolarmente sgombrati, ogni pochi giorni.
Le prix du passage di Thierry Binisti, vincitore del Bergamo Film Meeting appena concluso, racconta una di queste storie, mettendo al centro una giovane donna francese, Natacha: 25 anni, mamma single di un bambino di 8, cameriera in una tavola calda, troppe mensilità di affitto in arretrato, niente riscaldamento né acqua calda, una madre piuttosto generosa e non invadente che si prenderebbe volentieri cura di figlia e nipote, ma dalla quale Natacha rivendica una fiera indipendenza. E tira avanti come può, con qualche spicciolo sottratto alla cassa (abitudine che, a un certo punto, le costa il posto), ricerca affannosa di un nuovo lavoro, vendita di una doccia (fredda) a casa sua quando un migrante iracheno, Walid, le chiede dove potersi lavare. Ed è attraverso Walid che la protagonista entra in contatto con l’universo umano in attesa davanti a The Channel (il titolo internazionale del film) e decide, sempre con la complicità del giovane studente di letteratura, di trasformarsi in passeur, di trasportare sull’altra costa un clandestino alla volta, nel bagagliaio della sua auto.
Ritratto di una giovane che sogna l’Italia senza essersi mai mossa da Calais, Le prix du passage comincia quasi come una commedia, tra i disastri quotidiani, gli affetti, le ansie, e prosegue fino a venarsi di thriller, quando grazie al denaro dei passaggi la vita migliora ma il gioco si fa pericoloso. Ricorda un recente film analogo, Ils sont vivants di Jérèmie Elkaïm (storia d’amore tra una vedova di Calais e un clandestino iraniano), anche se il rapporto tra Natacha e Walid si snoda sul piano della progressiva amicizia, solo sottesa, forse, da un affetto diverso; e tiene bene, senza tentennamenti e cadute retoriche, il ritmo e quel tanto di suspense indispensabile nelle reiterate scappate Oltremanica della protagonista. Sceneggiatura un po’ affrettata e semplicistica verso la fine, quando si devono tirare le fila delle vite dei protagonisti. Ma non tutti i registi sono come Aki Kaurismäki, che sa raccontare il dramma in commedia, come fece, a Le Havre e non a Calais, con il ragazzino africano clandestino e il burbero lustrascarpe che lo aiuta a raggiungere la madre a Londra, nel 2011 in Miracolo a Le Havre.