Il trauma iniziale è violento e senza possibilità di appello: Dan, il protagonista, impegnato mentre sta guidando in una telefonata concitata con la moglie, muore in un incidente. Ma quello che all'apparenza ci è appena stato mostrato come uno strappo definitivo dalla vita (e che, in qualche modo, effettivamente è stato) presto si rivelerà, a Dan come a noi che lo vediamo allontanarsi mestamente dalla scena della sua esistenza terrena durante il proprio funerale, come un passaggio necessario, un nuovo inizio dai risvolti che non tarderanno a stupirlo e a stupirci.
Radu Potcoava ha voluto, in questo suo terzo lungometraggio, affrontare un argomento da far tremare le vene dei polsi, come si suole dire: che cosa c'è oltre il limite della vita. Ma ha scelto di farlo senza presunzione e senza enfasi: il post mortem diventa soggetto di una ballata elegiaca, in cui nostalgia e speranza si uniscono in una imprevedibile last dance. Quale cornice migliore per un tale approccio, se non quella della commedia basata sul topos narrativo della seconda chance?
Un passaggio, si diceva. Se l'assioma stabilisce che nessuno è davvero innocente, l'oltremondo non può che prevedere per tutti un passaggio obbligato attraverso il Purgatorio; un Purgatorio, però, non pensato come luogo di penitenza, dove rimediare attraverso la pena ai propri errori passati, quanto piuttosto un luogo di riflessione, in cui (ri)scoprire se stessi e una consapevolezza che dovrà essere messa alla prova nel colloquio finale con Lui, il cui esito non può mai essere dato per scontato. Il periodo di transito è indefinito, così come ugualmente sospeso in una quotidianità incantata e diafana è l'ambiente in cui il percorso si compie: un caravan perfettamente equipaggiato, la cui tavola in veranda è sempre rifornita di cibi freschi e buon vino, su una spiaggia ombreggiata e tranquilla. Non solo. Agli “ospiti” è concesso di tornare dai vivi, conversare con loro, confortarli se è il caso ma anche riceverne conforto, magari soltanto dalla loro vicinanza. Una condizione, insomma, caratterizzata dalla materialità come dato di fondo, per nulla dissimile da quella che impronta l'esistenza terrena. I trapassati non sono puri spiriti, ombre: quando abbracciano i vivi o lo fanno tra di loro non si ritrovano ad abbracciare se stessi ma, al contrario, possono stabilire relazioni nutrite, a tutti gli effetti, dal contatto reale.
E così avviene quando Dan incontra sulla spiaggia una compagna di liceo, Laura, della quale non aveva saputo, all'epoca, ammettere di essere innamorato: un passo falso nella sua educazione sentimentale, senza il quale tutto sarebbe stato diverso. Ritrovarsi ora, in questo tempo sospeso, permette di riallacciare un rapporto, di rileggere il passato e scoprire un presente (?) di segno diverso. Finché c'è morte c'è speranza, verrebbe da dire ribaltando il detto popolare, ma in fondo I bravi ragazzi vanno in Paradiso è un film che vuole soprattutto esortare a cercare di comprendere meglio i messaggi che la vita ci consegna per trarne le giuste indicazioni nel giusto momento, in modo da non avere rimpianti da scontare quando sarà troppo tardi.