La grazia è la “qualità naturale di tutto ciò che, per una sua intima bellezza, delicatezza, spontaneità, finezza, leggiadria, o per l’armonica fusione di tutte queste doti, impressiona gradevolmente i sensi e lo spirito” ed è anche, alla sua maniera un po’ scombinata e guizzante, la qualità maggiore del film di Gianni Zanasi.
Un film fortemente liberatorio, che muovendosi tra favola e realismo, magia e miscredenza, solleva (come sempre nel cinema di Zanasi, del resto) una serie di questioni centrali nella contemporaneità in continua corsa contro se stessa. Questioni che molto poco, se non per nulla, hanno a che fare con la religione o con l’afflato spirituale, ma che invece scavano nei bisogni che più umanamente coinvolgono tutti noi. A cominciare dal bisogno di credere in qualcosa – partendo da se stessi – e dalla necessità di badare alle piccole bellezze che ci circondano e che ci possono far sopravvivere o imparare a vivere un po’ meglio.
Poi, naturalmente, c'è la provincia tanto cara a Zanasi, con il lavoro che arriva a singhiozzo, il qualunquismo sugli immigrati, il paesaggio a cui nessuno fa caso; ma anche la speculazione, la corruzione, i compromessi, la speranza nel nuovo che avanza, e ancora le distorsioni da social, il caffè nel bar dei cinesi, la diffidenza verso la stranezza.
Si ride, e questa è una cosa buona; si ride anche molto, quando Lucia, una Alba Rohrwacher vestita di un abito comico che le calza perfettamente, e l‘inflessibile Madonna-rifugiata-mendicante con gli occhi verdi di Hadas Yaron se le danno di santa ragione. Si empatizza con dolcezza nei dialoghi concreti e sinceri tra Lucia e il suo compagno sfidanzato Arturo, al quale Elio Germano regala una barba folta e un mezzo codino da perfetto manovale di provincia, oltre che una personalità non banale recitata con apprezzabile garbo. Si sogna pure un po’, volendo farsi prendere dal côté più surreale senza soffermarsi troppo sul suo sfuggire qua e là.
Troppa grazia è un film che funziona e che solleva. A volte tentenna senza riuscire del tutto a ricomporre e tenere insieme i molti elementi che dissemina – ma poco importa. Perché la commedia è un genere prezioso e necessario, e Zanasi sa condurla restando fedele a se stesso, alla sua ironia intelligente e scalpitante, alla sua inventiva imprecisa e vivace. Sono d'altronde, queste, le qualità che contradddistinguono il suo cinema e lo fanno restare a riva, mentre accanto il fiume in piena delle commediole tutte uguali sui quarantenni incapaci di crescere e gli imprenditori senza scrupoli costretti alla crisi dalla crisi scorre inarrestabile.
Troppa grazia sant’Antonio! E benedetta sia la grazia dinoccolata di Zanasi.