Quinzaine des cinéastes

Enzo di Laurent Cantet e Robert Campillo

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Prima arriva la storia del film. Laurent Cantet progetta un ritorno a Le Ciotat, spazio de L’atelier, tempo e momento di ri-scrittura dell’adolescenza. Un luogo dello spirito appena sopra à Marsiglia, dove la direttrice topografica è una proiezione della stratigrafia sociale, di classe, dove chi sta più in giù o in su lo fa per condizione sociale o ricerca dell’identità. Lo condivide, in una pratica di vita e produttiva, con Robert Campillo che i suoi film li scrive e li monta. Cantet muore. Campillo gli sopravvive, in scrittura e in immagine.
Insieme, il vivo e il morto. Né l’uno né l’altro, o entrambi, insieme, Les Reventans di Campillo (il suo più bel film, da solo, del 2004). Un film de Laurent Cantet realisé par Robert Campillo.

Poi la storia nel film: Enzo ha sedici anni, una madre (Élodie Bouchez) ingegnere da 6000 euro al mese, un padre (Pierfrancesco Favino) che vale “un po' di meno”, un fratello che continua a studiare perché ha un’idea precisa di posizionamento, che sia sul bordo di una piscina borghese, con i compagni di scuola (e di futuro) o del mercato del lavoro. Ancora, con Cantet, sa gestire Le risorse umane e lo farà A tempi pieno.
Enzo invece vuole fare il muratore. E va in cantiere, a sporcarsi, e piagarsi, le mani.

La storia di Enzo, che funziona come una specie di montaggio convergente di tutto il cinema di Cantet e Campillo, è iscritta nella traiettoria di un doppio desiderio.
Il primo è quello di uscire dalla trama famigliare, e quindi inesorabilmente di rientrarne, per mancanza e dolore: la scena più potente è quella in cui Enzo cerca di imporre al fratello la prossimità fisica (stare testa a testa, le fronti sigillate dalla presa sulla nuca) per non perderlo (farlo andare via) e non perdersi (non trovare un altro posto dove andare).
Campillo costruisce una scena di vita perfetta, una primavera assoluta dove i corpi non soffrono il caldo e il freddo e la luce è sempre meridiana, o media, un’idea di borghesia meteorologica. Enzo avrebbe di fronte a sé la via di fuga, in un film architettonico. Il prato artificiale che dalla vetrata della sua stanza gli consentirebbe di andare fuori, senza passare dallo sguardo degli adulti, ma rimane continuamente incagliato, costretto al suo farsi vedere: la seconda scena più potente è quella in cui un’amica di famiglia (una madre) cerca di mettere in forma l’eccedenza, trovare una ragione accettabile, dopo il suo gesto di ribellione. Verso il fratello, contro il padre, insieme alla madre.

Il secondo gli consente di esplorare il corpo maschile fuori di sé, dopo che l’ha coltivato nella pratica del nuoto, come una scultura. Enzo disegna, ma non corpi umani, soltanto sculture: riproduzioni del gesto e del segno, viatico alla rovina, anche architettonica.
Enzo decide di innamorarsi di un uomo, Vlad, che è l’angolo opposto del perimetro: uomo di mano operaia per il borghese, ucraino per il francese, orfano per lo schiacciato dall’Edipo.
Trovano un momento di convergenza nel raccontarsi la guerra, al telefono.