La Giungla di Calais: vista centinaia di volte in tv e in rete, raccontata da Carrère nel reportage A Calais, filmata, indagata, raccontata decine e decine di volta in questi ultimi quindici anni dal cinema europeo. Una gigantesca baraccopoli che accoglie migliaia di immigrati in attesa di imbarcarsi verso l’Inghilterra: un non-luogo, certo, che ribalta però la definizione di anonimità in movimento, mutazione, caos, forse più semplicemente in vita e umanità. In tempi di città che si spengono per la gentrification, la Giunga al contrario è un non-luogo che si fa città, uno spazio che arriva a riempirsi di più di 12000 persone, di storie, di volti, di sopravvivenza, di presenza.
Nicolas Klotz ed Élisabeth Perceval, da sempre impegnati con il loro cinema a inseguire i fantasmi della contemporaneità, le zone d’ombra create dalle tensioni sociali e ideali che attraversano l’Europa, sono entrati nella Giunga nell’inverno del 2016: hanno incontrato alcuni dei suoi abitanti, li hanno conosciuti, hanno chiesto loro di poterli riprendere, li hanno trasformati nei personaggi del loro film. All’inizio della primavera del 2017, poi, un primo sgombero da parte della polizia, con lo svuotamento della zona nord della città e il massiccio spostamento degli abitanti nella zona sud. Poi, ancora, nel corso di quest’anno, lo sgombero generale, quello di cui tutti siamo stati testimoni inermi e televisivi, lo smantellamento coatto di vite intere.
Con L'héroique lande, la frontière brûle, presentato al Filmmaker Festival, monumentale lavoro di quasi quattro ore, i due registi cercano l’opera definitiva sulla Giungla di Calais: entrano di soppiatto, filmano volti, registrano incontri e discorsi, cercano le persone soprattutto di notte, immergendole in una luce bluastra e scura di grande efficacia fotografica. Il bianco e nero di Sylvain Georges, così potente in Qu’ils reposent en révolte (des figures de guerres), qui è sostituito da una ricerca cromatica che accetta pienamente il rischio della propria ambiguità: quella che Klotz e Perceval filmano è ovviament la notte dell’Europa, ma anche il suo presente e il suo possibile futuro. Il colore e la ricerca fotografica sono il segno di uno sguardo che va oltre la semplice documentazione, oltre il destino dei rifugiati della Giungla. Le immagini che inquadrano volti e corpi nello spazio, che colgono le figure nella loro plasticità e bellezza, e diventano un paradossale luogo d’accoglienza e conforto: un approccio simile a quello scelto da Gianluca e Massimiliano De Serio in I ricordi del fiume, dedicato allo smembramento del Platz, campo nomadi di Torino tra i più grandi d'Europa. Senza una casa, una città, un’appartenenza, una nazione, gli abitanti della Giungla trovano solamente nell’immagine, nella singola inquadratura, un luogo dove abitare.
La durata fiume del film serve paradossalmente a dare a ogni passaggio la sua unicità, la sua dimensione politica. È il caso della lunga sequenza finale sulla spiaggia, che cita chiaramente I 400 colpi rimettendolo in scena in modo quasi parodistico, che usa The Stranger Song di Leonard Cohen e mette in scena una danza comica filmata in campo lungo, mentre sullo sfondo un traghetto diretto verso l’Inghilterra taglia l’orizzonte. Un suolo sinonimo di abbandono e annientamento diventa così un palcoscenico, e il cinema si assume il compito di ricostruire ciò che la politica ha distrutto.