Sono le stagioni della riscoperta di Goliarda Sapienza. Il postumo L'arte della gioia (Stampa alternativa e in seguito Einaudi), trasferito in serie tv da Valeria Golino e l'ultimo lavoro di Mario Martone, Fuori, dall'autobiografico L'università di Rebibbia, ne hanno divulgato, più che la letteratura, la vita disordinata e intensa. Che è un po' quello che succede alle tante scrittrici diventate in questi decenni protagoniste di eleganti biopic, ora aderenti ora divaganti o fantasiosi. Perchè dietro a ogni penna si nasconde un'altra storia, quella di chi narra e racconta e che merita spesso di diventare a sua volta storia, magari esaltata dai costumi.
La mia Africa (USA, 1985) di Sydney Pollack. Raffinato e colto, l'autore non poteva che sintetizzare al meglio, fascinosamente, la vita esotica, travagliata, intensa come un romanzone rosa unita allo stile di artista della parola sensibile e acuta, della danese Karen Blixen (in sei episodi e commento recitato dal libro omonimo, non sempre rispettato). D'altra parte quando hai in forma smagliante Meryl Streep e il suggestivo cacciatore biondo Robert Redford è difficile sbagliare. Et voilà: 7 Oscar su 11 cadidature (ma con le due star a bocca asciutta, anzi a Redford manco la nomination!).
Giulia (USA, 1977) di Fred Zinnemann. Lillian Hellman vuol dire anche battaglie sociali a fior di pelle e passioni ad alto volume: qui in particolare ci si concentra su Nazismo e Guerra. Ovvero sull'amicizia di lunga data tra la scrittrice/commediografa (sposata al giallista Dash Hammett) e la militante antifascista Giulia, impegnate in Europa in una missione difficilissima per salvare oppositori ed ebrei. Eroismo e sacrifici, con il magistrale autore di Mezzogiorno di fuoco e le impegnate Jane Fonda e Vanessa Redgrave. Oscar alla Redgrave/Giulia, a Robards/Hammett e alla sceneggiatura.
The Hours (USA, 2002) di Stephen Daldry. Ora Virginia Woolf non fa più paura, ma nel primo '900 il suo anticonformismo snob scandalizzava. Qui il già regista di Billy Elliot (2000) si avventa su un libro Pulitzer di Michael Cunningham; parte dal suicidio della sublime artista per poi dipartire la trama in tre, con tempi diversi e altrettante protagoniste: un giorno del 1923 nella vita di Virginia (Nicole Kidman, naso finto e Oscar), uno del 1951 della casalinga incinta e infelice Laura Brown (Julianne Moore), uno della intellettual-bisessuale Clarissa Vaughn (Meryl Streep). Elegante e chic.
Les Sœurs Brontë (Francia, 1979) di André Téchiné. Tre sorelle leggendarie per tre star del cinema francese: Isabelle Adjani (Emily Bronte), Marie-France Pisier (Charlotte), Isabelle Huppert (Anne), più il fratello pittore e scrittore Branwell (Pascal Greggory). Ma come han fatto, cresciute nella landa brulla dello Yorkshire dell'800, a regalare al mondo almeno due capolavori (Cime tempestose, Jane Eyre) per tacer del resto? Un emozionante ritratto di storia “piccola” da un cineasta sensibile e colto che ne raccoglie le suggestioni con l'aiuto della fotografia magica di Bruno Nuytten.
Becoming Jane (G.B./Irl., 2007) di Julian Jarrold. “Ritratto di una donna contro” ammicca il sottotitolo ed è la chiave di questo biopic (imbastito sulle lettere di Jane Austen). Infatti lo sguardo inevitabilmente strabico del regista (esperto di drammi sentimentali d'antan, vedi Ritorno a Brideshead) ripercorre la giovinezza della futura autrice di Orgoglio e pregiudizio illustrando e colorando, glorificandone lo spirito di indipendenza, a dispetto della sua passionalità. E i volti freschi di Anne Hathaway e James McAvoy danno modernità alla Austen e al suo grande amore Thomas Langlois Lefroy.
Gothic (G.B., 1986) di Ken Russell. Se c'è una vicenda quasi vocata a diventare trama cinematografica è quella tra i super romantici Mary e Percy Bysshe Shelley. Nel corso di una buia e fantasmagorica notte, l'allora 18enne “partorì” per scommessa nientemeno che il leggendario Frankenstein. Ken Russell, memore anche della propria esuberante gioventù, sa mescolare creatività e vitalità sopra le righe, con Natasha Richardson, Julian Sands e Gabriel Byrne luciferino Lord Byron. Love story ed episodio furono ripresi anche nel 2017 in Mary Shelley - Un amore immortale, di Haifaa Al-Mansour.
Colette (G.B./USA/Ungh., 2018) di Wash Westmoreland. La via della propria libertà porta all'indipendenza. Dal villaggetto in cui è cresciuta alla fama nella Parigi della Belle Epoque, Colette cozza in un marito vizioso e sfruttatore, prima di trovare una emancipazione tranchant, nel lavoro (“La mano che tiene la penna scrive la storia”) e nella sessualità. La grinta di Keira Knightley al servizio della “scandalosa” (all'epoca) narratrice di sé. Il cineasta Wash Westmoreland alla prima regia su grande schermo dopo la scomparsa del marito e partner Richard Glatzer.
Henry & June (USA, 1990) di Philip Kaufman. Dai diari per tanto tempo censurati, la storia del triangolo amoroso tra Anais Nin, il collega Henry Miller e sua moglie June. Come dice la frase di lancio “un'avventura vera più erotica di qualsiasi fantasia”. Insomma: trattandosi del ménage tra l'autrice di La casa dell'incesto e l'autore di Tropico del Cancro di meno non ci si può aspettare. In più il talento del regista di Uomini veri a guidare nel torbido Maria de Medeiros, Fred Ward e Uma Thurman. Fuori concorso alla Mostra di Venezia del 1990.
Iris – Un amore vero (G.B./USA, 2001) di Richard Eyre. Dopo una sfilza di amori infelici o scandalosi, ecco la storia di un rapporto durato tutta una vita, quello tra la scrittrice e filosofa Iris Murdoch e il marito John Bailey, prestigioso docente universitario (il soggetto è tratto dalle sue memorie). La storia procede saltabeccando all'indietro perché si apre con la donna menomata dall'Alzheimer. Due magnifiche commedianti, Judy Dench e Kate Winslet a passarsi il testimone tra maturità e gioventù del personaggio. Però l'Oscar lo vinse solo Jim Broadbent, marito commovente e affettuoso.
Il segreto di Agatha Christie (G.B./USA, 1979) di Michael Apted. Nella vita della Signora del Giallo, 10 giorni rimasero e rimangono misteriosi. Nel 1926 dopo la scoperta del tradimento del marito, la creatrice di Poirot e Miss Marple fuggì da casa. Cosa successe in quel lasso di tempo? Michael Apted (che coglierà i suoi successi a partire dal film successivo, La ragazza di Nashville) ipotizza una storia che si tinge anche di suspence gialla e che non piacque per niente agli eredi. Vanessa Redgrave ne veste i panni e Dustin Hoffman è il giornalista (e fan) che la scova e ne indaga le motivazioni.