A volte, al cinema, “Se no i xe mati no li volemo!”. Svitati simpatici o patetici o psicopatici allucinati e allucinanti, vie di mezzo non ce ne sono. Almeno da trattare nella fiction (che manipola e mitizza, sempre). Ecco qui 10 storie in ambiente da paura, senza scordarsi mai che però le vere vite alienate sono ben diverse, come ci ha ad esempio raccontato il documentato e appassionato Matti da slegare, anno 1975, scritto e diretto - nel nome di Franco Basaglia - da Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Sandro Petraglia e Stefano Rulli.
Qualcuno volò sul nido del cuculo (Usa, 1975). Regia di Milos Forman. 50 anni e non dimostrarli neanche in una inquadratura. Jack Nicholson (nel film Randie Patrick McMurphy) è uno dei simboli libertari di quel decennio. Anno 1963: scelto il manicomio (“il nido del cuculo”) per evitare il carcere (sesso con una minorenne), finirà stritolato dai meccanismi repressivi dell'istituzione, non prima di aver istillato la voglia di libertà. Da un romanzo del post beatnick e pre hippie Ken Kesey, il capolavoro di un Maestro del cinema ribelle, con 5 Oscar (in tutte le categorie fondamentali).
Il corridoio della paura (Usa, 1963). Regia di Samuel Fuller. Per risovere un caso di omicidio, l'ambiziosissimo giornalista Johnny Barrett (Peter Breck) simula disturbi (sessuali) e si fa ricoverare in una casa di cura a intervistare i testimoni. Scoprirà il colpevole a danno del proprio equilibrio mentale. Perchè l'ambiente più che curare, segrega e aliena. Duro, stringato, selvaggio e senza sconti, come il carattere del suo autore, uno di quegli indipendenti (o autonomi) considerati “minori” che i Cahiers du Cinema seppero scoprire ed evidenziare. Un “classico” dei B Movie, oggi un “classico” in assoluto.
Family Life (G.B., 1971) Regia di Ken Loach. Ispirato dalle teorie dell'antipsichiatria di Richard Laing, con stile definito allora “documentaristico”, il già impegnato cineasta inglese (nel 1967 aveva diretto Poor Cow) traccia il doloroso iter di Janice (Sandy Ratcliff), dalla vita ribelle e disturbata da “costringere” la “normale” famiglia a farla abortire e internare. Nonostante i tentativi di capirla di uno psichiatra alternativo, finirà torturata dagli elettroshock sino alla schizofrenia incurabile. Storia esemplare e gran successo alla Quinzaine des Realisateurs a Cannes.
La fossa dei serpenti (USA, 1948). Regia di Anatole Litvak. Un film che cambiò i metodi di cura negli ospedali psichiatrici americani e non solo. Il titolo deriva dall'antica credenza che calare un pazzo in mezzo alle serpi fosse un modo per curarli. Ricoverata dal disperato marito senza rendersi conto e ricordare quasi nulla, la paziente Virginia Stuart (Olivia De Havilland, premio a Venezia) viene studiata dal Dr. Kik (Leo Genn), seguace del metodo freudiano, allora spesso considerato poco scientifico. Sarà un percorso non privo di dolorosi step. 5 nominations agli Oscar e un premio per il miglior sonoro.
Gli esclusi (USA, 1963). Regia di John Cassavetes. Un film che il regista ripudiò per le discussioni e gli interventi al montaggio del produttore Stanley Kramer. Judy Garland (!!!) è una dottoressa presso un istituto che si occupa di minori che oggi definiremmo problematici. I suoi metodi la mettono in contrasto con il direttore (Burt Lancaster) che alla fine ne apprezzerà gli slanci e gli sforzi, dopo il controverso caso del piccolo Reuben (la cui mamma è interpretata da Gena Rowlands). Da un lavoro televisivo di Abby Mann (Vincitori e vinti, La nave dei folli), realizzato interamente nel “vero” Pacific State Hospital a Pomona.
Il silenzio degli innocenti (USA, 1991). Regia di Jonathan Demme. Chi meglio di uno psicopatico assassino può capire e far arrestare un “collega”? Così la giovane agente FBI Clarice Starling (Jodie Foster) è costretta a relazionarsi col tremendo Dr. Hannibal Lecter (Anthony Hopkins), criminologo cannibale ed efferato omicida, sottoposto a strettissima cura al manicomio criminale di Baltimora. Da un best seller di Thomas Harris, sequel di Il delitto della terza luna e prequel di Hannibal (tutti diventati film, il primo due volte). 5 gli Oscar, tutti nelle categorie principali, in più alla Foster anche il Golden Globe.
Un angelo alla mia tavola (Austr./G.B./N.Zelanda, 1990). Regia di Jane Campion. Dall'autobiografia della scrittrice Janet Frame, un biopic lungo, intenso e appassionato. Figlia di contadini, con infanzia e giovinezza tra turbe e traumi, già promettente scrittrice crolla emotivamente, tenta il suicidio e finisce in clinica psichiatrica. Dichiarata schizofrenica, per otto anni viene sottopostra a elettroshock rischiando persino la lobotomia. Storia quindi verissima, che la sagacia della cineasta trasforma in ritratto “quasi dall'interno” e partecipe. Meritatissimo Leone d'Argento alla Mostra di Venezia.
Shutter Island (USA, 2010). Regia di Martin Scorsese. In un'isola trasformata in Ashecliff Hospital, specializzato nella cura di psicopatici, due agenti FBI indagano sulla scomparsa di una “paziente” che pare svanita. Tra i labirinti gotici del luogo, i deliri dei malati e le reticenze dei dottori, i detective Leo Di Caprio e Mark Ruffalo si incasinano in una vicenda che si fa sempre più intricata e incomprensibile. Da un romanzo dell'ottimo Dennis Lehane (Mystic River), un thriller con sorpresa allegata che si fa spettacolo di classe e sopra le righe come è nello stile del regista.
The Ward – Il Reparto (USA, 2010). Regia di John Carpenter. Anni '60: la piromane smemorata Amber Heard viene rinchiusa in clinica. Dottori ambigui, pazienti scombinate, fantasmi, elettroshock: non manca nulla nel repertorio da ambiente horror, tentativi di fuga compresi. Un “anti-Cuculo” (inteso come film) privo di ammiccamenti sentimentali che non siano quelli del codice del genere. Come è nello stile di un autore sempre stringato e diretto, memore della lezione del suo idolo Howard Hawks. Purtroppo fu un flop e rimane al momento l'opera ultima del grande di Halloween.
Bedlam (USA, 1946). Regia di Mark Robson. Gioiellino della produzione Val Lewton (da noi uscì anche col titolo di Manicomio). Anno 1761, Londra. Indagando sulla morte di un amico, Lord Mortimer si interessa (blandamente) ai metodi che vigono a Bedlam (nome in gergo del Bethlem Royal Hospital), gestito da un untuoso e vendicativo direttore, Mastro Sims (nientemeno che Boris Kaloff). Ne farà le spese la sua protetta (Anna Lee). Lewton sceneggiatore si ricorda dei racconti di Poe e imbastisce un pirotecnico viaggio all'inferno, tra efferatezze da B Movie. Da puro godimento cinefilo.