Già il fatto che usino il latino (almeno nei documenti ufficiali) è un elemento di sfacciata singolarità (impudenti praestantiae). Anche la disinvolta opacità (obscuritas) con cui prendono le loro decisioni contribuisce ad accrescere il mistero (mysterium). In particolare quando si tratta del Conclave (dal latino cum clave) che nasce nel 1270 (diventerà regola nel 1274) quando i cittadini di Viterbo, stanchi delle indecisioni dei cardinali, li misero tutti sotto chiave per costringerli a tirare fuori un nome. Insomma la segretezza (fidelitas), gli intrighi (fallaciae), le sottili perfidie (peracutae perfidiae), tutto questo fa sì che i papi siano un buon soggetto quando si tratta di pellicula imprimere.
Ci sono attori “recidivi”, cioè che hanno ricoperto più volte il ruolo, come Paolo Stoppa, John Gielgud, Franco Nero. E ci sono papi più popolari di altri, anche se a volte per poco lodevoli ragioni. Tra questi Alessandro VI (era il padre di Lucrezia Borgia), Innocenzo III (quello che si confronta con san Francesco), Giulio II (per via di Michelangelo), oltre ai più recenti Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e Francesco.
L'ars cinematographica prevede anche qualche papessa (papissa) e perfino un papa porno (obscenus, pornographicus, lascivus, ad libidinem instigatorius). È Renato Pusiol che ovviamente fa Alessandro VI in Lucrezia Borgia – Le castellane di Lorenzo Onorati.
Pelliculae in ordo temporum sunt.
1) La battaglia di Austerlitz (Abel Gance, 1960). È soltanto una particina, non esattamente da protagonista. In ogni caso vedere Vittorio De Sica, notorio gaudente e libertino, travestito da Pio VII che incorona Pierre Mondy, travestito da Napoleone, non ha prezzo.
2) Becket e il suo re (Peter Glenville, 1964) Potevo scegliere tra il Paolo Stoppa che fa il papa in Jus primae noctis (Pasquale Festa Campanile, 1972), il Paolo Stoppa nelle vesti di Pio VII ne Il marchese del grillo (Mario Monicelli, 1981) e il Paolo Stoppa che è Alessandro III in questo film di Glenville. Ha vinto Glenville.
3) Il tormento e l'estasi (Carol Reed, 1965). Megaproduzione girata interamente in Italia, in buona parte negli studi appena nati di Dinocittà. Il film narra i contrasti tra Giulio II (Rex Harrison) e Michelangelo (Charlton Heston) nella realizzazione degli affreschi della Cappella Sistina. Da notare che per rendere questo scontro non c'è stato bisogno di nessun metodo Stanislavskij: i due attori si detestavano cordialmente anche nella vita.
4) L'uomo venuto dal Kremlino (Michael Anderson, 1968). Reduce da un gulag, l'arcivescovo di Leopoli (Anthony Quinn) viene accolto in Vaticano da Pio XIII (John Gielgud). Alla morte di questi viene inaspettatamente eletto papa e si trova a dover scongiurare addirittura una guerra tra Russia e Cina. Insomma un papa venuto dall'est che ha un importante ruolo nella politica mondiale. Delle volte il cinema precede la realtà. Anderson non è mai stato un genio del cinema, ma aveva una fissa per i papi strani (vedi sotto).
5) La papessa Giovanna (Michael Anderson, 1972). Della vicenda/leggenda di Giovanna, diventata papessa senza che nessuno di accorgesse di nulla, esistono altre due versioni cinematografiche. Una del 2009 di Sönke Wortmann con Johanna Wokalek (ma doveva essere Franka Potente con la regia di Schlöndorff) e una del 2017 di Jean Breschand con Agathe Bonitzer. Rispetto alla bellezza di Liv Ullmann non c'è gara.
6) Lisztomania (Ken Russell, 1975). Cercate di capire: una volta che avete scelto Roger Daltrey, cantante degli Who, per interpretare Franz Liszt, poi è inevitabile che papa Pio IX lo faccia Ringo Starr. Cosa volete di più? Non vorrete mica anche Rick Wakeman, tastierista degli Yes, nel ruolo di Thor, il dio del tuono? Si, vabbé, c'è anche lui.
7) Monty Python Live at the Hollywood Bowl (Terry Hughes, Ian MacNaugton, 1982). In realtà è solo uno sketch di meno di 4 minuti. In ogni caso Giulio II (John Cleese) non è contento dell'Ultima cena che Michelangelo (Eric Idle) ha dipinto su sua commissione. Innanzitutto vuole dodici apostoli e non ventotto. Un solo Cristo e non tre, nonostante gli altri due siano skinny ones e servano a bilanciare quello grasso. E soprattutto niente canguri.
8) Habemus papam (Nanni Moretti, 2011) Quando pensiamo a un papa, pensiamo a un benemerito della Chiesa, ma anche a uno capace di scalare gerarchie, trovare appoggi, coltivare amicizie, insomma un raffinato politico. Per questo è raro il caso di un cardinale (Michel Piccoli) che, appena eletto papa, si fa cogliere da una crisi di panico. Per uno così ci vuole uno psicanalista. Ma uno bravo. Tipo Nanni Moretti.
9) The Young Pope (Paolo Sorrentino, 2016, serie tv). Già il titolo è un ossimoro. Un papa non può essere giovane. Non più di quanto un cestista possa essere nano o un sommelier astemio. In più, per quanto giovane, il nuovo papa è anche sorprendentemente conservatore. Si scoprirà poi che soffre della sindrome da abbandono.
10) I due papi (Fernando Meirelles, 2019). Partiamo dall'assunto che qualsiasi film con Antony Hopkins e Jonathan Pryce merita di essere visto. Questo racconta le lunghe (e peraltro mai avvenute) conversazioni tra papa Ratzinger (ancora col suo titolo) e papa Bergoglio (non ancora tale). Mereilles schiva tutti i problemi spinosi, si accontenta di umanizzare i personaggi (vedi la partita di calcio Germania-Argentina) e lascia fare ai suoi attori. E questo basta.
Post scriptum. Mi dispiace che non si trovi più online lo sketch di Little Britain in cui Anne (David Walliams), una donna con problemi mentali, riesce a farsi ricevere dal papa e gli lecca la faccia. E fa pure un po' di flashing. Del resto è notorio come Little Britain sia la cosa migliore prodotta dalla televisione inglese dai Monty Python in poi.