1980: due spiriti a bordo di uno sgangherato risciò arrivano nel nostro mondo per traghettare nell’aldilà l’anima di Qiu fu destinato al trapasso. L’uomo è un famoso clown dell’opera di Sichuan, che ha lavorato per decenni nella più importante troupe teatrale cinese e per ammissione dei due spiriti ha molti devoti fan anche nel regno dell’oltretomba. Egli è restio a seguirli per paura, ma anche perché non sa come dirlo a sua moglie, la vera “padrona” in questa vita. Ma il destino è ineluttabile. Deve seguire i due e si troverà catapultato in un vorticoso e colorato revival di cinquant’anni di teatro, della sua vita professionale e della Cina. Un tourbillon in cui si riverberano anche le vicissitudini storiche del paese che portarono alla guerra tra le armate comuniste e i seguaci di Chiang Kai-shek.
La regia di Qiu Jiongjigong non si lascia sedurre da originali movimenti di macchina ma sceglie una camera fissa, che riproduce il punto di vista dello sguardo di uno spettatore in platea, per fornirci inquadrature ricche di particolari, sfumature, che avrebbero bisogno di ulteriori visioni per rendere un senso più compiuto. Attraverso il viaggio nell’aldilà di Qiu fu, visto con un’ironia felliniana, il regista compie un’esplorazione della storia del teatro cinese, delle sue contrapposizioni, dei suoi trionfi e soprattutto del suo decadimento. Un mondo immaginifico, dove Visconti incontra Fellini e che regala un viaggio anche attraverso la tradizione straordinaria delle scenografie artigianali del teatro cinese e quella millenaria della pittura paesaggistica su seta. Anche la storia del Paese si rispecchia in quella del teatro e di Qiu fu, ma senza intenti didascalici o supponenti, piuttosto con un’ironia che permette allo spettatore di non sentirsi sopraffatto da un tourbillon di immagini, dialoghi e da una lunghezza ragguardevole.