“L'(es) funziona ovunque, ora senza sosta, ora discontinuo. Respira, scalda, mangia. Caca, fotte. Che errore aver detto l'(es). Ovunque sono macchine, per niente metaforicamente: macchine di macchine, coi loro accoppiamenti, colle loro connessioni”.
Così si apre L’anti-Edipo di Deleuze e Guattari e mai definizione potrebbe essere più azzeccata per il Casanova messo in scena da Albert Serra in Història de la meva mort - che, ironicamente, mutua il titolo da Histoire de ma vie. Sarebbe un errore, infatti, cercare nel protagonista del film di Serra una qualsiasi psicologia. Casanova, distante dal mito del libertino che “amava le donne” e dai toni malinconici regalatigli da Schnitzler, è una figura macchinica che esiste nell’agire: mangiare, defecare, possedere le donne.
Esponente terminale dell’Età dei Lumi, riduce l’intera riflessione filosofica di un Voltaire o un Montaigne alla lettura elementare di alcuni passaggi delle loro opere senza disquisirne, allo stesso modo in cui, al riparo dalle passioni, soddisfa fanciulle, si rimpinza di melograni e vino, espleta i suoi bisogni corporali.
La scarnificazione dell’archetipo – già incontrata in Honor de cavallería (2006), in cui Don Chisciotte e Sancho si preparavano alla battaglia in una radura e non accadeva quasi nulla, se non un refolo di vento contro cui, forse, combattere, e ne El cant dels ocells (2008), dove i Re Magi si apprestavano a incontrare il Bambinello al termine di un cammino che pareva non avere né senso né fine – non priva, però, la pellicola di una vitalità “di immaginario” davvero sorprendente.
Serra compone con grande maestria e consapevolezza personaggi e situazioni a cui bastano un taglio di luce in un banchetto, un’ombra allungata di una mano, un chiaroscuro di un volto, per essere caratterizzati in maniera inequivocabile. Il suo Dracula non parla, ha i contorni della bocca macchiati di sangue, si avventa sul collo delle ragazze, urla e viene accompagnato nelle sue apparizioni da un gruppo di fiati che sostituisce i clavicembali e le chitarre dell’inizio.
Benché ripuliti di ogni orpello narrativo e ridotti a schematici emblemi, Casanova e Dracula, come due poli contrapposti, irradiano un tale potere evocativo da riuscire a dar vita a un affresco crepuscolare e affascinante sulla fine dell’Illuminismo e il sopraggiungere del Romanticismo, dove Casanova appare come l’ultima proiezione sadiana possibile, macchina in piena luce, priva di misteri e profondità, e Dracula come la sintesi di ogni turbamento, oscura e enigmatica.
Così come la giovenca viene squartata dai contadini e Pompeu divorato dai lupi per appagare un appetito, Casanova viene annientato da Dracula. “Le passioni dell'uomo sono soltanto i mezzi di cui la natura si serve per conseguire i suoi scopi” (D.A.F. de Sade). I due, infatti, non sono altro che pedine di un processo storico-culturale che ne induce le azioni, i movimenti, le scelte. La loro identità non è dunque nella volontà o nel desiderio, ma nel singolo gesto e il tempo è sempre e solo il presente, il mentre in cui l’azione si compie. Il resto ha il tratto incerto e ambiguo delle tenebre.