Nel caso di Mimmo Jodice (Napoli, 29 marzo 1934) il termine fotografo, per quanto ineccepibile e degno, suona persino riduttivo. Perché stiamo parlando di un Artista, anzi, meglio: di un grande Artista, non di un talentuoso quanto si voglia “detective” di immagini e di realtà. E l'impeccabile documentario di Mario Martone che va ad aggiungersi a una meritoria filiera di ritratti riflessioni su uomini di cultura, d'arte e spettacolo partenopei (a partire da Lucio Amelio/Terraemotus, 1993, presentato anch'esso al TFF e arrivare al commovente Laggiù qualcuno mi ama, 2023, incentrato sulla figura di Troisi) ce lo espone al meglio, con l'aiuto di riflessioni, ricordi, esplicazioni, sue, della moglie Angela (che è anche una sua sodale collaboratrice di avventure artistiche), di studiosi, colleghi, nonché di una direzione registica che in quache modo entra nello spirito stesso di un “filosofo della visione” quale è.
Cresciuto con la grande avanguardia artistica internazionale che intorno ai '60, proprio grazie al citato Lucio Amelio, trova lì un humus fertilissimo e disponibile (stiamo parlando di Beuys, Rauschenberg, Kounellis, LeWitt, per citarne giusto alcuni), l'itinerario personale di Jodice nasce e si pasce nel rione Sanità («Il luogo dove si è formato il suo immaginario, segnato da sovrapposizioni di epoche») e ha attraversato varie fasi, dalla sperimentazione (ben prima di possedere una macchina fotografica operava in camera oscura con la sola pellicola sensibile più vari materiali), alla antropologia culturale, alla politica sociale (pregevoli i suoi lavori negli ospedali, nelle scuole, nele fabbriche, nelle carceri), all'architetura urbana (internazionale), in un confronto costante con l'antichità, sino a una personalissima rielaborazione degli oggetti e dei reperti, illuminati e reinventati. Una carriera lunghissima, costellata di lavori (più di 20 sono i volumi a lui dedicati), personali (la prima nazionale a Milano, nel 1970, Nudi dentro cartelle ermetiche), insegnamento.
Il film di Martone viene tra l'altro proposto al TFF anche per una occasione speciale, una enorme mostra alla Gallerie d'Italia di Torino, Senza tempo, aperta sino al prossimo 7 gennaio, dove verrà proiettato.
Ma qual è, volendo didascalizzare e analizzare, la peculiarità del lavoro di Jodice? Come viene detto nel filmato, si tratta di usare la foto come materia. Come l'autore spiega: «Per me il lavoro si divide in due fasi, il tempo delle riprese (che non sono mai improvvisate, ma frutto di lunghe attese e riflessioni, nota) e il tempo della stampa. In camera oscura lavoro sull'intensità della luce”. Perchè “la luce accarezza il modellato della forma e allora c'è il risultato».
Non solo, “materia” la si deve intendere a volte in senso letterale, perché l'immagine stampata, già magari trattata in camera oscura, può venire ulteriormente strappata, tagliata, “manipolata” in senso artistico, sino a raggiungere dimensioni sovente di significanza e sublimità assolute.
Davvero, in poco più di un'ora si scopre (per chi non lo conoscesse), non solo un Maestro quasi solitario e artigiano nella sua pratica, ma si riceve una esaustiva lezione di storia dell'Arte e dell'Immagine. Un bel film che solletica l'intelligenza e la voglia di conoscere.